Le elezioni comunali si sono rivelate un appuntamento più difficile del previsto per Matteo Renzi. Il Pd è stato superato largamente a Roma dal M5S ed è riuscito a piazzarsi solo per pochi voti al secondo posto, potendo così gareggiare il 19 giugno al ballottaggio per il sindaco della capitale. A Torino è tallonato dai cinquestelle in forte crescita. A Milano è primo, ma poco sopra al centrodestra. A Napoli è stata una disfatta: terzo posto, non parteciperà nemmeno al ballottaggio. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd è insoddisfatto dei risultati delle elezioni amministrative del 5 giugno: «Non siamo contenti».
Soprattutto a Napoli forse San Gennaro non ha fatto il miracolo ma poco più a sud sì, a Salerno il miracolo c’è stato. Vincenzo Napoli è stato eletto sindaco di Salerno al primo turno con un diluvio di consensi: oltre il 70% dei voti; Roberto Celano, centrodestra, distanziatissimo, ha ottenuto il secondo posto con appena il 9%. Il nuovo sindaco ha incassato oltre 44 mila voti in una città che conta poco più di 135 mila abitanti. Napoli, fedelissimo di Vincenzo De Luca, l’ex primo cittadino di Salerno eletto presidente della regione Campania, a caldo ha commentato stupefatto lo straordinario successo: «Era inimmaginabile». Il neo sindaco, alle spalle una lunga militanza socialista, ha fatto la campagna elettorale da vice sindaco reggente della città, ha usufruito del forte consenso popolare di De Luca, già in passato apprezzato e discusso primo cittadino di Salerno.
Tuttavia le sorprese sono tante e non finiscono qui. Il nuovo sindaco non ha stravinto con una lista del Pd perché era assente il simbolo del partito di Matteo Renzi, ma grazie al sostegno di tante liste civiche e a una del Psi. Le liste civiche sono ormai un fenomeno dilagante. Una volta erano un elemento marginale di una elezione, espressioni dei problemi specifici di un territorio. Adesso non è più così. Nel voto di domenica 5 giugno sono state presentate oltre 4 mila liste civiche per le elezioni in 1.342 comuni.
È come se i partiti, nel centrosinistra e nel centrodestra, screditati da scandali e da errori, nel mirino del M5S, ricorrano ai ripari, celandosi e chiedendo voti tramite le liste civiche collegate e non più presentando i propri simboli. Alle volte una miriade di liste civiche appoggia quella di un partito. Tuttavia accade anche, come a Salerno, che addirittura il simbolo del partito si dilegui, e si inviti a votare i propri candidati tramite le liste civiche.
Antonio Tedesco, nel blog su internet della Fondazione Pietro Nenni, ha analizzato i perché della “ritirata” dei partiti: «La ricerca di Repubblica ha evidenziato come i simboli di partito siano scomparsi in due comuni su tre. Il simbolo del PD, ad esempio, è presente in appena l’11,6% dei comuni». Tedesco ha sollevato varie ipotesi: «Crisi della militanza? Fine dei partiti? O avanzata inesorabile dell’antipolitica?». In ogni caso dilaga il trasformismo elettorale: «È raddoppiato il numero delle liste civiche, senza connotati politici precisi, che muoiono dopo una tornata elettorale. La predominanza delle liste civiche sui partiti non è sempre sinonimo di un risveglio ‘civile’ della società attiva (anzi la Bindi ne ha sottolineato i rischi definendole, spesso, ‘varco per mafie’), ma è un chiaro segnale della crisi della democrazia contemporanea fondata sui partiti».
La questione non si risolverà finché i partiti non daranno una risposta politica ai gravi problemi economici, sociali, occupazionali, istituzionali dell’Italia. Una risposta non basata sulla propaganda e il populismo, ma su soluzioni efficaci.
Renzi ha giudicato il risultato elettorale del Pd alle comunali «a macchia di leopardo» senza conseguenze politiche per il governo. Ha ricordato «la vittoria al primo turno a Salerno». Ha lodato Roberto Giachetti, il candidato del Pd a Roma: «Ha fatto un mezzo miracolo» piazzandosi al secondo posto e adesso al ballottaggio «vorremmo anche l’altro mezzo miracolo», cioè la vittoria sulla votatissima cinquestelle Virginia Raggi. È vero, non basterà un mezzo miracolo.