Libero e il Giornale gareggiano in stereotipi, rilanciati da talk show e rassegne. L’Ordine da solo non basta
Oltraggiare le vittime, alludere a presunti reati, cavalcare gli stereotipi, vellicare il lato becero o rancoroso del lettore pur di trascinarlo sino all’edicola ad acquistarti: cos’è? È davvero libertà d’opinione, è diritto di cronaca, innocente strategia commerciale? Oppure è una colpa grave, innanzitutto deontologica? Il Giornale e Libero, ovvero Sallusti e Feltri, subentrato a Belpietro, gareggiano scientemente in cinismo. L’altrieri avevamo appena denunciato l’orrore di quel catenaccio di Libero “e per gradire arrostiscono una ragazza” sull’omicidio di Sara, che ieri il Giornale sull’assassinio della deputata Jo Cox rispondeva ignorando la notizia ma passando direttamente a un commento crudele. Oggi rilancia Libero con un’accusa di sciopero falsa ma volutamente ambigua. Insomma un uso di immagini, di grevi ironie, di luoghi comuni o di violenza verbale che se la prende innanzitutto con avversari, migranti, gay, sindacati, ma soprattutto con le donne e che viene moltiplicato dalle rassegne stampe e dai talk show televisivi che ripropongono e dibattono quei titoli, mostrandosi sconcertati o divertiti ma comunque invitando quei direttori come ospiti. Col risultato di dare autorevolezza popolare a tesi infondate e di sdoganare un linguaggio di disprezzo ed irrisione, quando non di ributtante cinismo. E non si facciano paragoni con la stampa popolare inglese, certo orribile per volgarità ed i topless da terza pagina, ma assai più rispettosa nel merito: neanche il Sun e il Daily Mail, che pure hanno versato inchiostro sulla Cox, si sono permessi tanto. Basta la segnalazione all’Ordine? Che pure abbiamo fatto. Oppure occorre che anche il sindacato dica, e scriva, la sua con autorevolezza? Che tutti insomma si chieda di distinguere il grano dal loglio: per difendere il grano. Perché quando facciamo le nostre sacrosante manifestazioni in appoggio ai colleghi minacciati, aggrediti, intimiditi, quando commemoriamo i colleghi assassinati, quando difendiamo la libertà di stampa non vogliamo ambiguità, né di doverci giustificare.
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