Joanne Cox, per tutti semplicemente Jo, aveva speso metà della sua vita per i diritti umani. Ci eravamo incrociate nel 2007, a Londra. Lei, come me, si era appassionata alla causa del Darfur, regione martoriata del Sudan su cui per Oxfam aveva avviato un’intensa advocacy. Ero appena rientrata da Khartoum, dopo aver visitato i campi profughi di Al-Fasher, nord Darfur, dove la Ong inglese operava già da alcuni anni. Non avevo collegato subito la semplice attivista che partecipava alle “call” da Bruxelles per i Global Day For Darfur, alle quali per l’Italia ero presente anch’io, all’elegante deputata assassinata a Leads.
Ieri sera, leggendo il comunicato di Oxfam e soprattutto le dichiarazioni di Max Lawson, che ricordava quanto fosse stata brillante la sua azione nel portare grande energia nella campagna di sensibilizzazione per la crisi umanitaria più ignorata del mondo, ho capito che era lei. Jo è morta ieri, a poco più di 41 anni, uccisa da un folle armato da chi ha fomentato l’odio verso “gli altri” con una campagna pro-Brexit dai toni violenti, senza precedenti.
“Britain First” non è solo un grido, uno slogan in onore di una nazione che si pretende diversa e superiore alle altre. È un movimento di estrema destra che ha tentato di infiltrare, e sembra esserci riuscito benissimo con Tommy Mair, il 52enne che ieri ha colpito a morte Jo, un viscerale sentimento xenofobo nel tessuto sociale “scontento”, soprattutto quello dei sobborghi londinesi. I più poveri. Ma era proprio per le realtà più “fragili”, quelle a rischio emarginazione, che la Cox si batteva con convinzione. Credeva che un mondo migliore fosse possibile e combatteva per renderlo tale, ogni giorno. “Due cose più di ogni altra avrebbe voluto in questo momento. La prima è che i nostri preziosi figli fossero circondati dall’amore e la seconda vederci uniti per combattere l’odio che l’ha uccisa. L’odio non ha credo, razza o religione, è veleno. E basta“ così Brendan Cox, marito della deputata laburista uccisa oggi, ha ricordato la moglie in una dichiarazione diffusa dai media britannici.
La “promessa” Labour che veniva dal volontariato e guardava all’Europa con ottimismo aveva intrapreso una vera e propria battaglia per contrastare il fronte del “no”, che il 23 giugno potrebbe portare la Gran Bretagna fuori dall’Unione Europea. Sempre dalla parte degli immigrati e impegnata nella difesa dei più deboli, senza se e senza ma, l’esponente laburista aveva iniziato la sua promettente carriera politica con l’elezione alla Camera dei comuni, era stata tra le candidate più votate alle politiche del 2015. Era la sua prima legislatura fra le file del Labour ed era per molti una grande speranza del partito, destinata a occupare un giorno posti di governo. E invece la sua vita è finita a Birstall, vicino Leeds, dopo il consueto incontro settimanale coi suoi elettori.
Questa brillante e solare 41enne arrivava dal mondo della cooperazione, dopo la laurea a Cambridge era stata dirigente dell’associazione Oxfam e aveva lavorato anche per Save the Children e la Nspcc, oltre a essere stata consulente della moglie dell’ex premier laburista Gordon Brown, Sarah, attivissima in una serie di campagne in favore di giovani e immigrati. Negli ultimi mesi era poi diventata fra gli esponenti del suo partito più attivi e in “vista” nella campagna a sostegno dell’Europa e in difesa dei profughi. Aveva affermato pochi giorni fa che l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue non era il modo migliore per affrontare il dossier immigrazione, come in precedenza aveva criticato il governo conservatore di David Cameron per la mancata accoglienza di migliaia di bambini in arrivo dalla Siria.
Il suo straordinario impegno per il paese del Medio Oriente martoriato dalla guerra non finiva qui: era anche presidente del gruppo trasversale di Westminster chiamato “Friends of Syria”. Si era astenuta nel voto ai Comuni sul via libera all’intervento militare britannico nella crisi siriana, affermando che serviva una soluzione di ampio respiro per risolvere il conflitto. Ma era favorevole a un’azione internazionale per favorire una transizione a Damasco.
Era anche presidente del Labour Women’s Network, che riunisce le donne laburiste, e aveva sostenuto la nomina di Jeremy Corbyn a leader del partito per poi cambiare idea, e votare per la candidata “blairiana” Liz Kendall.
L’arrivo alla Camera dei comuni non era stato facile: la sua candidatura in un seggio del West Yorkshire era stata criticata dagli avversari conservatori, che l’avevano vista come una scelta piovuta dall’alto per una esponente che non aveva legami con l’elettorato locale. Ma la sua passione aveva messo a tacere i detrattori. Jo si definiva prima di tutto “una mamma”: due i figli avuti dal marito Brandon Cox, anch’egli un attivista politico. La coppia aveva scelto di vivere su una barca trasformata in abitazione e ormeggiata vicino al Tower Bridge nel cuore della City .
Oggi mentre tutti aspettavano notizie sulle sue condizioni il marito ha pubblicato sul suo profilo twitter una foto di lei, sorridente sullo sfondo della sua Londra : l’ultimo sorriso di Jo.