Il triploralismo centrosinistra, centrodestra, cinquestelle frana, si sta trasformando in un nuovo bipolarismo Pd-M5S. La disintegrazione del centrodestra senza più una leadership fa emergere la centralità dello scontro Renzi-Grillo e il Pd barcolla sotto la “spallata” del fondatore del Movimento 5 stelle.
Matteo Renzi quasi se lo sentiva: per settimane ha ripetuto: si vota «per i sindaci e non per il governo». Il presidente del Consiglio e segretario del Pd ha voluto smentire ogni valore politico delle elezioni amministrative, salvando così il governo. La sconfitta è stata pesante. È accaduto quasi l’impensabile. Il Pd ha subito una bruciante sconfitta nei ballottaggi per i sindaci: ha perso Roma, Torino, Napoli. E ha perso male, malissimo.
Nella capitale la cinquestelle Virginia Raggi ha più che doppiato il democratico Roberto Giachetti (67,2% dei voti contro il 32,8%), a Torino la grillina Chiara Appendino ha surclassato Piero Fassino di quasi 10 punti (al primo turno era sotto di oltre il 10% dei voti), a Napoli l’”arancione” Luigi De Magistris è stato confermato sindaco con un plebiscito di consensi, mentre la candidata del Pd non è stata nemmeno ammessa al ballottaggio. Matteo Renzi ha evitato che la sconfitta si trasformasse in disfatta solo grazie a Milano: Giuseppe Sala, sia pure per il rotto della cuffia, è riuscito a sconfiggere Stefano Parisi, centrodestra.
Venerdì prossimo 24 giugno, San Giovanni, la direzione del Pd rifletterà su «una sconfitta senza attenuanti a Torino e Roma» nei confronti di un trionfante M5S. Renzi ha lanciato una battuta: «San Giovanni, si dice, non vuole inganni». Il risultato elettorale, però, ha aspetti diversi. Il Pd rispetto a un frammentato centrodestra, privo della leadership di Silvio Berlusconi (in molte città si è presentato diviso in 3-4 diversi candidati sindaci), è andato molto meglio.
Per Renzi sarà decisiva la prossima battaglia sul referendum costituzionale, previsto ad ottobre. In caso della vittoria del “no”, il presidente del Consiglio ha più volte ripetuto che andrà “a casa” perché verrebbe sconfessata la legge di revisione costituzionale, la riforma centrale realizzata nei suoi due anni di governo.
Il suo primo antagonista sarà Beppe Grillo, l’inventore del M5S assieme a Gianroberto Casaleggio, scomparso da poco. Una coppia inedita per la politica italiana: il primo è un famoso comico, il secondo era un eccellente esperto d’informatica. Il primo ha messo a punto le sue graffianti battute nate in televisione e in teatro, il secondo il potentissimo potere di penetrazione del blog e di internet.
La Grande crisi economica e gli scandali pubblici hanno fatto da benzina ai “Vaffa.. Day” tenuti dal comico genovese. Attacchi, insulti e sberleffi a tutti: a Renzi, alle banche, all’Europa. Grillo ha tuonato dal suo blog, dalla Rete, dai teatri, dalle tv, dai giornali, dai comizi nelle piazze strapiene: «Tutti a casa», i partiti saranno “sterminati”, via dall’euro, basta con gli immigrati. È stato un inesuccesso strepitoso senza precedenti: per la prima volta nella storia della politica italiana e mondiale un comico ha stravolto tutti i giochi: il M5S nelle elezioni politiche del 2013, da zero, conquistò oltre il 25% dei voti. Commentò poco conciliante: «Siamo populisti rabbiosi e quando avremo la maggioranza, cancelleremo dalla storia questa classe politica. Populista rabbioso? Mi piace».
Ma negli ultimi tempi i toni sono diventati più morbidi. Grillo si è fatto un po’ da parte. Si è dichiarato “un po’ stanchino”, ha fatto “un passo di lato”, ha tolto il suo nome dal simbolo elettorale e ha dato spazio a un direttorio di cinque giovani parlamentari pentastellati. Anche in queste settimane di campagna elettorale per i sindaci si è fatto sentire poco. Si è dedicato di nuovo, quasi a tempo pieno, al teatro girando in tutta Italia. Dopo la vittoria ai ballottaggi del 19 giugno si è limitato a sostenere: «È un giorno storico, da oggi cambia tutto. Ora tocca a noi. È solo l’inizio».
Tutto è in movimento. Virginia Raggi, neo sindaca di Roma, è determinata: «Io sono pronta a governare. Il risultato è sopra ogni aspettativa». Ma il pensiero va anche al referendum costituzionale e alle prossime elezioni politiche in programma, salvo imprevisti, nel 2018. Luigi Di Maio, vice presidente della Camera, componente del direttorio del M5S, candidato premier ‘in pectore’ del Movimento, fa pressing: «I cittadini ci hanno riconosciuto la capacità di governare. Ora siamo pronti per l’Italia». Il segreto del successo del M5S? Tempo fa Grillo ha detto: «Capisco le persone, l’uomo. Io sono uomo di spettacolo». Il fondatore dei cinquestelle è fiero del suo lavoro: «Io sono un comico! Comici si nasce, non si diventa». Un fatto è sicuro: il comico Grillo è stato capace di capire e cavalcare i problemi, le paure e il malessere diffuso di una società sconvolta da trasformazioni epocali, dalla globalizzazione all’immigrazione.
Dopo il successo ai ballottaggi Grillo si è affacciato alla finestra del suo albergo di Roma ed ha alzato le braccia in segno di vittoria. Ha una carica carismatica, suscita entusiasmo tra giovani, precari, disoccupati, artigiani e professionisti tartassati dalle troppe tasse. Al contrario dei partiti tradizionali, screditati da anni di errori e di scandali, è riuscito a far breccia su gran parte del ceto medio disorientato ed impaurito. Ora la scommessa è trasformare il M5S da forza di opposizione anti sistema a nuovo protagonista del governo.