“Problema globale, sacche di indigenza o discriminazione anche nei paesi economicamente sviluppati e a welfare avanzato”. L’allarme di Save the Children: 6 milioni non hanno accesso alle cure e 150 milioni sono disabili. Guadagnino: uno su 10 vive in aree di conflitto
ROMA – “Non esiste un paese o una regione al mondo in cui i bambini o gli adolescenti vivono meglio di altri. Il problema purtroppo è globale, e sacche di indigenza o discriminazione si trovano ovunque, anche nei paesi che crediamo ‘economicamente sviluppati’ e a welfare avanzato”. E’ grave il quadro tracciato da Marco Guadagnino, responsabile della comunicazione dei programmi internazionali di Save the Children Italia, nel giorno in cui cade la Giornata internazionale del bambino. Nel mondo, secondo gli ultimi dati diffusi il mese scorso dall’Ong, sebbene i progressi fatti siano notevoli, ancora 400 milioni di bambini sotto i 13 anni vivono in condizioni di povertà estrema, 60 milioni non vanno a scuola, 6 milioni non hanno accesso alle cure, 150 milioni sono disabili, 168 milioni lavorano, “ma il dato che ci preoccupa di più – osserva Guadagnino – è che 1 bambino su 10 vive in contesti di conflitto. Dove? Penso subito alla Siria, ma c’è anche il Sud Sudan, il Centrafrica, tanti altri paesi africani e asiatici. Nascere lì non è facile per nessuno”. Tutti questi bambini sono considerati “i più vulnerabili del pianeta”, poiché esclusi dai progressi fatti nel generale miglioramento delle condizioni di vita.
Lo studio di fine aprile dal titolo “Every last child” ha permesso poi di individuare sacche di disagio anche nei paesi ‘insospettabili’: “Ci siamo concentrati sulle disparità tra i diversi gruppi etnici o religiosi all’interno di uno stesso paese. Ne è emerso che nel Regno Unito, ad esempio, la metà dei bambini di origine pakistana e bengalese vive in povertà, a differenza della maggioranza nativa britannica, che ne conta ‘solo’ 1 su 5. Anche in Italia- prosegue il responsabile di Stc – la povertà economica contribuisce a creare problemi, come la povertà educativa. Abbiamo calcolato che i bambini che crescono in famiglie non abbienti non raggiungono, per citarne una, le competenze minime in matematica 4 volte di più di quelli che nascono da genitori benestanti”. Immaginare la povertà in una nazione in guerra è facile. Ma nei paesi sviluppati che cosa non funziona? “Il welfare. Poichè nonostante i progressi nei servizi educativi e sanitari, il sistema ha lasciato indietro dei gruppi sociali importanti”. Come spiega Guadagnino, l’impossibilità ad accedere ad attività integrative – uso di internet, pc e tablet, doposcuola, sport, musica, teatro – nasce dal tendenziale impoverimento delle famiglie e impedisce ai bambini di acquisire competenze minime che i coetanei più fortunati hanno. Ma non bisogna cedere al pessimismo: “Tra i nostri interventi c’è la creazione in Italia dei ‘punti luce’, spazi ad altissima densità educativa pensati per fornire ai ragazzi svantaggiati strumenti e risorse di quel tipo”.
Tornando verso le aree di crisi “e lo scorso 2015 da questo punto di vista è stato terribile, ce ne sono state tantissime”, commenta il responsabile comunicazione, Save the Children ha attivato 166 progetti su nutrizione, salute, educazione, contrasto alla povertà, protezione, e risposto a 74 emergenze, “da ebola al conflitto siriano, ma anche per il terremoto in Nepal, per i migranti che sbarcano in Grecia o in Italia, o per i rifugiati siriani nei campi profughi. Solo nel 2016, 7 mila i minori non accompagnati sbarcati sulle nostre coste. Numeri importanti su cui siamo molto impegnati”. Il sistema di accoglienza italiano riesce a gestirli? “Ha sicuramente margini di miglioramento – replica Guadagnino -. Ma pur cercando di tenere traccia di tutti, allo stato attuale è molto difficile riuscirci, e tanti svaniscono nel nulla. Noi abbiamo ripetuto più volte alle Istituzioni che devono dedicare più attenzione soprattutto a questa categoria di migranti. Noi ci impegnamo sul versante dell’assistenza, o della protezione legale, ma poi spetta alle autorità dello Stato impedire che bambini e adolescenti cadano nelle maglie della criminalità”.
Da non dimenticare le discriminazioni di genere. Qual è la condizione delle bambine? “Anche qui i miglioramenti sono significativi, tuttavia il problema persiste. A rischio soprattutto le adolescenti. In Afghanistan – racconta ancora il portavoce – abbiamo osservato che nei contesti più poveri solo il 4% delle bambine riesce a completare l’educazione primaria. In Tanzania il 61% si sposa prima dei 18 anni, ma il tasso scende al 5% tra quelle che hanno completato gli studi superiori. In Sierra Leone in un anno si sono contate 14 mila gravidanze precoci”. I bambini oggi sono minacciati da tante cose: indigenza, guerre, discriminazioni, sfruttamento. Ma da poco è emerso uno spettro nuovo: la stregoneria. Minori uccisi o che subiscono amputazioni per ottenere parti del corpo utili a de rituali, soprattutto in Africa. “Save the Children fa opera di sensibilizzazione sulle comunità. Si tratta però di fenomeni da gestire con cautela: per questo la maggioranza del nostro personale è locale. E’ fondamentale conoscere a fondo gli aspetti culturali alla base di queste pratiche, legate in parte alla povertà, ma soprattutto alle tradizioni culturali, su cui e’ possibile lavorare. E noi andiamo avanti” conclude il responsabile comunicazione dei programmi internazionali. (DIRE)