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Filippine, per il nuovo presidente i giornalisti “corrotti” meritano di morire

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Si sperava che il campionario di dichiarazioni irresponsabili, incendiarie e contrarie ai diritti umani il neo presidente delle Filippine Rodrigo Duterte (nella foto) l’ avesse esaurito alla fine della campagna elettorale. Invece, i proclami della serie “legge e ordine” – più che altro “fuorilegge e disordine” – proseguono: dall’invocazione della pena di morte all’offerta di ricompense per chi uccide i trafficanti di droga fino al sinistro impegno ad azzerare i reati in sei mesi, attraverso l’eliminazione di migliaia di sospetti criminali.

Martedì scorso, Duterte – che entrerà formalmente in carica il 30 giugno – ha superato se stesso dichiarando che i giornalisti che prendono tangenti o sono coinvolti in altre attività corruttive sono bersagli legittimi e meritano la morte.  “Non è che siccome sei un giornalista vieni esentato dall’essere assassinato, se sei un figlio di puttana”, ha detto durante una conferenza stampa. Particolare: la domanda cui ha risposto riguardava l’uccisione di un giornalista nella capitale Manila, appena una settimana prima.

Dalla fine della dittatura di Ferdinando Marcos, 30 anni fa, nella precaria democrazia filippina sono stati uccisi 174 giornalisti. “Diciamo le cose come stanno. La maggior parte di loro aveva fatto qualcosa. Se non fai niente di sbagliato nessuno ti ammazza”. Ipse dixit. E ancora: “La costituzione tutela la libertà d’espressione ma non ti può più aiutare se manchi di rispetto a una persona”. Traduzione: un’accusa di diffamazione può costarti la vita.
Che Duterte ce l’abbia con la stampa lo dimostra anche una nomina importante: quella di Salvador Panelo a suo portavoce. Chi è Panelo? L’avvocato difensore della potente famiglia Ampatuan, accusata della strage di 58 persone, tra cui 32 giornalisti, avvenuta nel 2009.


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