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Fenomenologia di Pippo Baudo: le ragioni di un successo senza fine

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Giuseppe Baudo, per tutti Pippo, catanese di Militello, compie ottant’anni e, ovviamente, gli giungono auguri da tutta Italia.
Auguri ad uno degli uomini più popolari della televisione e dello spettacolo, auguri a un presentatore che qualche osservatore malevolo ha ribattezzato “l’Andreotti di Sanremo”, in quanto, proprio come il Divo a Palazzo Chigi, la sua presenza all’Ariston era diventata ormai una tradizione, una consuetudine nazionalpopolare, una gradevole abitudine, dovuta anche alle notevoli competenze in ambito musicale di quest’uomo poliedrico e raffinato, dotato di una cultura ampia e che spazia in numerosi settori, compreso il versante storico, al quale ha dedicato trasmissioni bellissime come “Mille lire al mese” e “Novecento”.

La storia della televisione e del costume, il personaggio ideale per compiere un’analisi sociologica sulle radici profonde della tradizione cattolico democratica che ha governato per tanti anni il Paese e, naturalmente, anche il servizio pubblico, da sempre specchio, anticipatore e co-protagonista delle vicende italiane.

Un artista d’altri tempi, vecchio stampo ma estremamente attuale anche ai giorni nostri, talvolta rimpianto per il garbo e la discrezione con cui è stato capace di entrare per decenni nelle case degli italiani, più spesso apprezzato e invitato in virtù della sua carica di modernità, la quale spicca anche in quest’era tecnologica in cui fanno furore le vulgate rottamatorie, da alcuni osservatori detestato per via del suo protagonismo istrionico e del suo carattere non certo incline all’umiltà.
Un fuoriclasse in tutti i sensi, capace di primeggiare e per nulla disposto a nascondere il proprio talento: virtù tipiche di quasi tutti i prim’attori, di coloro che la sorte ha destinato ad essere ricordati, delle primedonne e delle celebrità. Eppure Baudo ha saputo vivere questa notorietà, questo fascino, questa passione popolare e la gloria che ne è derivata con la sobrietà propria di un’altra epoca: senza spocchia, senza eccessi, con la misura di chi sa di essere Pippo Baudo, lo sa far pesare al momento opportuno ma non lo ostenta in ogni occasione con arroganza e stucchevole sicumera.
Un fenomeno del piccolo schermo e un simbolo del Paese, delle sue stagioni felici, dei suoi cambiamenti ma non del suo declino, in quanto Baudo è ancora lì, con la sua autorevolezza, la sua presenza scenica, il suo sguardo proteso in avanti e la sua capacità di porsi al centro del dibattito anche in quei salotti televisivi che il più delle volte brillano per la noiosità della discussione e la pochezza dei loro ospiti.

Volendolo definire con un tocco di ironia, possiamo dire che si tratta dell’unico democristiano sopravvissuto alla scomparsa dello Scudo crociato, alla sua diaspora, alle giravolte dei suoi esponenti di spicco, e ce n’erano a frotte anche in RAI, e alla follia di una stagione nella quale di sicuro non si riconosce ma che riesce comunque a dominare con il piglio battagliero di sempre.
Un condottiero e un’icona, un modello e una memoria storica: sono queste le ragioni del suo successo senza fine e forse anche i motivi per i quali, morto il grande contraltare Mike Bongiorno e prima di lui il mitico Corrado Mantoni, si può dire che è rimasto l’ultimo esponente di quella scuola di presentatori che ci regalò i Riva, i Tortora, i Filogamo ma della quale ormai si sono perse le tracce.
Buon compleanno signor TV, con molta stima e una punta d’amarezza.


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