19 giugno 2015: le “vampe” di Palermo
È ancora nella tradizione di Palermo che alla vigilia della festa San Giuseppe si alzino in tanti quartieri degli enormi falò, chiamate Vampe, che rischiarano il cielo – dall’imbrunire e fino a sera inoltrata – alimentate da bande vocianti di ragazzini che, incitati dagli adulti, gareggiano con le vampe delle strade vicine in altezza e durata delle fiamme
L’intervento dei Vigili del Fuoco, spesso rassegnati a concedere quello che non concederebbero mai in qualsiasi altra occasione, avviene raramente e solo per evitare l’eventuale contatto del fuoco con i cavi elettrici.
Appare ancora surreale la presenza di questi “Pumperi” sotto colonne di fiamme alte fino ad un cielo pieno di fumo e ad un fortissimo odore prevalentemente di legna bruciata.
A parte la presenza dei Vigili del Fuoco, difficilissima perché richiesta in innumerevoli posti, era proprio questa l’atmosfera che qualche giorno fa hanno vissuto i palermitani, quando sono stati costretti ad uscire dai luoghi protetti dagli infissi ermetici e dal condizionamento d’aria.
Eppure, non era San Giuseppe! Era un giorno di inizio estate con un vento di scirocco, ma non più feroce di altre volte, al quale si aggiungevano un fumo e un odore acre che stavolta non provenivano dalle Vampe, circoscritte nei quartieri popolari della città.
Era tutta la città ad essere avvolta da quella coltre grigia, con la cenere che pioveva nella periferia vicina della zona Monte Pellegrino, come in quella lontana di Falsomiele e perfino nel pieno centro tra i teatri del Politeama e del Massimo.
Ancora più efficacemente che da Internet, dalle persone che scendevano precipitosamente dagli autobus, come se il fuoco fosse dentro i mezzi, arrivavano notizie concitate non solo degli incendi che stavano cancellando le pinete e la macchia mediterranea di diversi versanti di Monte Pellegrino, ma anche delle colonne di fumo che si vedevano verso Capo Zafferano, in paesi come Casteldaccia che si affacciano sul golfo di Bagheria.
Si parlava anche di incendi vicinissimi. Quello nella circonvallazione di Monreale, con la drammatica evacuazione di un asilo nido e il ricovero precauzionale di circa cinquanta bambini in ospedale, come quello nella borgata palermitana dell’Arenella, nell’ex fabbrica chimica, che, nonostante ha chiuso da decenni l’attività, lasciava temere la possibilità di velenose emissioni.
Ma il problema stavolta non erano i capannoni, ormai abbandonati, ma le case di civile abitazione prospicienti un settore della fabbrica che rischiavano di essere aggredite dalle fiamme.
All’Arenella si verificano le prime scene che sconfessavano i proclami di efficientismo del sistema della Protezione civile lanciati dal ministro Alfano, nel solito summit in una fresca sala della Prefettura.
In un video amatoriale si vedono uomini, donne e ragazzi disperati che, con un tubo di fortuna calato da un balcone, riempiono d’acqua comuni secchi di plastica, in presenza di carabinieri e poliziotti, probabilmente pieni di buona volontà, ma – evidentemente – confusi perché privi di mezzi e anche di competenze.
Solo più tardi un carabiniere arriverà con una scatola di maschere antifumo che verranno distribuite, un po’ indiscriminatamente, come si fa con i gadget pubblicitari, e ancora molto dopo arriverà un’autocisterna dei Vigili del fuoco, sembra proveniente da Trapani.
Da questo episodio dell’Arenella, oltre alla constatazione di qualche problema di organizzazione dei soccorsi, sorge una domanda che va più a monte dell’episodio – grave, ma non eccezionale – costituito da una morsa di fuoco in una giornata dal clima infernale.
Ma come mai l’ex Chimica Arenella – straordinario esempio di archeologia industriale di dimensioni enormi e con annesso pontile sul mare – resta sostanzialmente abbandonata, a parte alcune presenze di depositi e locali i cui titoli andrebbero approfonditi?
Come mai non si é mai pensato ad un progetto complessivo per il futuro di una Struttura del genere, in questa eccezionale Area sul mare occidentale di Palermo che poche città si possono permettere?
Si è parlato in passato di un grande incubatore scientifico in Scienze marine per l’Università, di sede idonea di un Parco Scientifico e Tecnologico e di altre destinazioni potenzialmente eccezionali, soprattutto per attività volte all’innovazione, elemento progettuale importantissimo – probabilmente decisivo – in un contesto socio-economico in disfacimento come quello palermitano.
Nulla di nulla finora se non l’abbandono e le sterpaglie che, si sa, in un avamposto dell’Africa come Palermo, in qualche modo possono sempre prendere fuoco.
Poco oltre la vallata, sotto un costone occidentale del Monte Pellegrino dove l’artista Emma Dante ha ambientato il suo apprezzato film “Via Castellana bandiera”, una borgata i cui terreni, in parte attualmente condotti in agricoltura, risultano in gran parte vincolati a verde sportivo.
Non risulta che alcun Ente pubblico se ne sia occupato, quasi che si tratti di un territorio off limits, come si lasciava intendere nel film e si può verificare nella realtà recandosi a passeggiare in quella zona.
Un’Area bellissima a degradare verso il mare che è facile immaginare che, qualora svincolata dalla sua attuale destinazione per essere lottizzata, potrebbe prendere, per la sua particolare posizione, un valore economico impressionante.
Sono solo due degli esempi – l’ex chimica Arenella e l’Area Castellana bandiera – che dimostrano come le Vampe di Palermo – anche quelle di un infernale giorno di inizio estate – appena si abbassano e consentono il diradarsi del fumo che brucia gli occhi e toglie il respiro, mostrano le contraddizioni di una città.
Ma poi soffia ancora lo scirocco. Scoppiano tanti altri incendi e la vista e il respiro si fanno ancora corti e allora si pensa all’emergenza e alla fine ci si rallegra pure perché, come ha detto il ministro Alfano, in fondo non è morto nessuno.
E questo è vero, anche se in qualche caso per coincidenze fortunate.
Peccato, però, che, intanto, muoia ogni giorno – con o senza scirocco – una città, Palermo!