Cari compagni, ma ne valeva la pena?

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Scrivo in una fase molto delicata della vita politica del nostro Paese, sospesa con ogni evidenza tra il non più e il non ancora e, per questo, caratterizzata da un’incertezza e da un’instabilità senza precedenti.

Scrivo mentre il Partito Democratico comincia a rendersi conto degli errori commessi negli ultimi tre anni e mentre la stella di Renzi sembra iniziare non dico a spegnersi ma senz’altro ad affievolirsi, al punto che persino due candidati renziani come Sala e Fassino, a quanto pare, gli avrebbero chiesto di non farsi vedere in vista dei ballottaggi.

Scrivo mentre molti osservatori cominciano a rendersi conto che il famoso rigore del 2013 non era affatto a porta vuota, che il malessere sociale che ha generato il M5S è tutt’altro che svanito, che quella vittoria mutilata non fu colpa di Bersani, benché la sua campagna elettorale fu al di sotto delle aspettative, e che la realtà sta cominciando a presentare il conto ad una sinistra che da trent’anni a questa parte, se si eccettua la breve parentesi prodiana del biennio ’96-’98, di cose di sinistra ne ha dette, e soprattutto fatte, assai poche.

Scrivo mentre ci si interroga a livello globale sulla rivolta del novantanove per cento della popolazione contro quell’un per cento che Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha ribattezzato “Partito di Wall Street”, dunque ne faccio un’analisi che va ben al di là delle mere beghe di cortile di casa nostra.

Scrivo mentre comincia a sgretolarsi il mito di cartapesta del liberismo di sinistra e altri idoli dai piedi d’argilla che hanno devastato e spostato a destra la sinistra a partire dai primi anni Novanta, quando scioccamente ci convincemmo che la storia fosse finita e che fosse giunto il momento di piegarci agli ordini del capitalismo della peggior specie, avallando implicitamente speculazioni finanziarie ed edilizie, liquidando con eccessiva disinvoltura e superficialità la “questione morale” di Berlinguer, derubricata ad un concetto vecchio e superato, e favorendo l’aumento esponenziale del debito pubblico e la distruzione del concetto stesso di pubblico e di bene comune.

Scrivo mentre la Spagna, tanto per citare un esempio concreto, vede la coalizione Unidos Podemos, composta da Podemos e Izquierda Unida, sopravanzare nettamente un PSOE privo di idee e in confusione totale, combattuto fra il desiderio di costruire un’alternativa di sinistra, con il rischio e la necessità di modificarsi radicalmente al proprio interno, e la volontà di una classe dirigente ormai vetusta e inadatta a comprendere la realtà contemporanea che strizza l’occhio all’idea suicida della grande coalizione con il Partido Popular: il sogno proibito del partito dei gattopardi, il quale vorrebbe che tutto cambiasse affinché tutto restasse così com’è.

Scrivo mentre anche alcuni commentatori un tempo “mainstream” cominciano a smarcarsi e a rendersi conto che la linea ufficiale seguita sinora è forse la causa principale del malessere e del malcontento sociale che hanno condotto l’Austria ad un passo dal baratro dell’avvento alla presidenza di un neonazista.

Scrivo in questo contesto per domandare agli amici e ai compagni del Partito Democratico che tre anni fa tacciarono Bersani e la vecchia classe dirigente di essere dei falliti e abbracciarono Renzi, i suoi eccessi, la sua rottamazione e i suoi modi così poco in linea con la nostra storia e la nostra tradizione come se fosse il Messia se ne sia valsa la pena.

Scrivo a Fassino per domandargli se non si renda conto che la bravissima Chiara Appendino, con la quale dovrà vedersela al ballottaggio, in una fase normale della nostra vita politica sarebbe stata un’esponente di primo piano di una sinistra progressista e olivettiana, aperta e capace di tenere insieme sviluppo sostenibile e attenzione al sociale, sostegno ai lavoratori e crescita di qualità, ossia quella miscela di socialismo e valori liberali che animarono la nascita dell’Ulivo e successivamente del PD.
Scrivo a Merola per domandargli se non si rende conto che aver tenuto fuori così a lungo le ragioni e le richieste della sinistra lo ha condotto ad un ballottaggio non rischioso ma comunque umiliante contro un’avversaria rispettabile che, però, a Bologna, fino a qualche anno fa, non avrebbe avuto alcuna speranza di costringere il centrosinistra ad arrivare al secondo turno, per giunta sotto quota 40, quando un tempo era considerato un risultato negativo stare sotto al 60 per cento al primo turno.

Scrivo alla dirigenza milanese del PD che ora trema al cospetto di Parisi, socialista craxiano e figura dal profilo moderato e in grado di unire e federare il centrodestra, se non si rendano conto che aver candidato una fotocopia esatta del proprio avversario, per giunta assai più a destra, almeno a livello personale, non risponda a quel vecchio cedimento culturale, tipico soprattutto dell’ala migliorista del PCI, che equivale sempre a una resa: battere la destra scavalcandola a destra, salvo poi accorgersi, inesorabilmente, che i cittadini hanno preferito l’originale.

Scrivo a quegli amici e compagni che continuano a tacciare il M5S di essere nulla più che una formazione populista e anti-politica se non si rendano conto che, al netto dei loro innumerevoli limiti e demeriti, della loro pressoché totale mancanza di democrazia interna, della loro scarsa trasparenza e dei loro contratti capestro con un’agenzia pubblicitaria, molti di questi ragazzi mettono l’anima in ciò che fanno, battendosi contro tutto e tutti e recuperando alla politica un settore ampio di una generazione, la mia, che senza di loro non voterebbe neppure.

Scrivo perché credo che la sinistra, che pure ha avuto il merito di smarcarsi dall’attuale PD, stia commettendo alcuni errori essenziali: primo fra tutti quello di non rendersi conto che una ricomposizione a sinistra sarà possibile solo quando Matteo Renzi e il suo schema che guarda decisamente a destra sarà stato sconfitto, insieme a una classe dirigente inadeguata e arrogante; in secondo luogo, quello di non voler guardare in faccia la realtà, non rendendosi conto che destra e sinistra esistono ancora, per carità, ma proprio perché hanno una ragione storica e sociale di esistere e di continuare ad esistere, oggi come oggi non si possono declinare in base alle appartenenze partitiche bensì alle caratteristiche delle singole persone; infine, quello di non capire che questa società liquida e post-ideologica è sicuramente un male, al pari della mancanza di partiti seri, solidi e strutturati, ma non per questo possiamo far finta che non esista, e se la nostra missione deve essere quella di ricostruire un tessuto sociale, politico ed economico degno di questo nome, ciò di sicuro non accadrà negando la realtà e puntando il dito contro un mondo, quello movimentista, che oggi ci è ostile per il semplice motivo che per troppo tempo ci siamo rifiutati di comprenderlo e di ascoltarlo.

Scrivo in una fase storica nella quale è venuta meno la fiducia stessa nelle persone, il che pone un problema pre-politico ineludibile se non vogliamo arroccarci in una cittadella autoreferenziale che somiglia tanto a un labirinto senza sbocco né prospettive.

Scrivo perché ritengo indispensabile una scomposizione dei vecchi schemi, scommettendo con coraggio visionario ma non infondato su un’evoluzione della realtà stellina o su una sua implosione, in quanto l’azione di governo presuppone un’apertura mentale, una saggezza e un buonsenso che vanno ben al di là delle pulsioni protestatarie delle origini.

E scrivo, infine, per domandarvi: cari amici e compagni, ma ne valeva la pena di gettare alle ortiche una coalizione, un’alleanza, decine di rapporti umani e le prospettive e le speranze per il futuro di intere generazioni per soddisfare le smanie di potere di un discreto giocatore di play station e di calcio balilla, la cui capacità di analisi politica non va al di là dello slogan e del selfie?

Perché l’unica riforma sinora riuscita a Renzi è stata quella di rendere peggiori anche persone un tempo adorabili, modificandone il modo di pensare e trasformandole in giannizzeri ed erinni di un sacro verbo che ha un che di comico nel suo anacronistico blairismo da stazione ferroviaria in disuso.
E allora, prima che la farsa si trasformi in tragedia e che a rimetterci siano la Costituzione e il Paese, fatevi un esame di coscienza, fermatevi a riflettere e chiedete scusa per i vostri errori di valutazione, visto che all’improvviso avete riscoperto quell’arte del dubbio che nel 2013 avevate accantonato in nome di granitiche certezze rivelatesi, in breve, drammatiche delusioni.


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