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“Altri Europei”, a Calais pomeriggio di felicità per i profughi della Jungle

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Il viaggio tra Italia, Ungheria, Turchia e Francia si conclude in uno dei campi profughi più grandi d’Europa, con un match senza arbitro in un campo senza limiti in cui contano solo il pallone, le porte e la voglia di giocare. “È la dimostrazione che il calcio ha un potere stupendo”

Una partita di oltre 2 ore, senza arbitro, in un campo senza limiti in cui contano solo il pallone, le porte e la voglia di giocare. Si conclude così la campagna degli “Altri Europei”, il progetto realizzato da Enrico Tamiazzo e Michele Bianchi, fondatori della onlus The Small Now, promosso insieme ad Altropallone. “L’esperienza è stata positiva, abbiamo incontrato tantissime persone e abbiamo avuto la conferma che il calcio ha un potere stupendo, perché in campo le differenze si annullano”, dice Tamiazzo. Dopo un viaggio che li ha portati attraverso i campetti di periferia di Italia, Turchia e Ungheria, il gruppo degli “Altri Europei” è approdato a Calais, in Francia, in uno dei campi profughi più grandi d’Europa. “La chiamano La Jungle, da tempo ne sentiamo parlare e ci siamo chiesti come sarebbe stato giocare lì – raccontano – Quando arriviamo a Calais piove a dirotto e fa freddo, certo non una buona premessa per giocare una partita”. Ma il gruppo non si lascia scoraggiare e incontra i volontari che ogni giorno si occupano di distribuire beni di prima necessità ai profughi, di dare loro assistenza, “ci hanno spiegato che molti praticano il Ramadan e che avremmo avuto difficoltà a trovare persone disposte a giocare, senza contare la pioggia”. Nel campo ci sono tantissimi afghani e poi curdi, eritrei, somali, sudanesi, pakistani. Ci sono persone sole, famiglie e anche chi ha parenti sparsi in altri Paesi europei. Vivono in baracche di legno con teli di plastica, altri nei container su due livelli o in piccole tende. Qualcuno è arrivato da pochi giorni, altri sono lì da 6 mesi, tutti vogliono andare dall’altra parte della Manica, in Gran Bretagna.

Il gruppo entra nella Jungle e si avvia lungo la strada principale, denominata Market Street perché ci sono baracche con ristorantini e negozi, “capiamo subito di trovarci in una città informale, con le sue regole e usanze”. In una sorta di centro ricreativo per i giovani incontrano alcuni ragazzini afghani, entusiasti all’idea di giocare a calcio, e raccolgono le prime adesioni. Quando esce il sole, la partita può avere inizio. Il campo è uno spiazzo di sabbia a ridosso dello svincolo stradale per l’Eurotunnel. I giocatori sono tantissimi e dopo aver formato le squadre, si comincia. “La partita è una caciara di lingue: si parla arabo, tigre, dari e pashto, qualcuno parla in inglese – spiegano – Dal punto di vista tecnico è autogestita, senza arbitro, i giocatori entrano ed escono in qualsiasi momento. Vengono segnati decine di gol e la palla non vuole smettere di fermarsi”.

Quando cala il sole, molti ragazzi si avviano verso il campo per la cena del Ramadan. “Anche noi ci incamminiamo e ne lasciamo molti a giocare – scrivono – Ci sono immagini che lasciano l’amaro in bocca in un luogo del genere, ma ce ne andiamo con la consapevolezza di avere regalato un pomeriggio di felicità ai ragazzi della Jungle”. (lp)

Da redattoresociale


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