Dopo oltre un ventennio di contrasti fra politica e magistratura , ecco individuato un potenziale pericolo comune, un sospetto nemico: il giornalista. Stupisce francamente la parte del ddl approvato dalla commissione Giustizia del Senato e relativo al contrasto alle intimidazioni agli amministratori locali, in cui vengono inasprite le pene per la diffamazione ai danni di magistrati e politici, che la normativa in discussione intende tutelare. C’e’ purtroppo un reato di cui qualche collega o pseudo tale si e’ macchiato: l’estorsione a mezzo stampa. Se si volesse aumentare la pena su questa fattispecie, nel solco di un’idea della professione come servizio al cittadino,c i sarebbe da plaudire e da incoraggiare il Legislatore. Ma qui la cosa e’ diversa e francamente curiosa . S’intenderebbe punire l’eccesso di controllo dell’opinione pubblica nei confronti di soggetti , che , secondo la classica tripartizione, hanno “potere” in maniera maggiore, rispetto a quelli che non ne hanno. Se diffamo un professionista che fa il suo lavoro avrei una pena minore, rispetto alla diffamazione di un soggetto che prende decisioni destinate a ricadere nella sfera collettiva o comunque altrui.Un paradosso che va anche al di la’ del principio di uguaglianza e che appare come una sorta di immunita’ dal diritto di critica che i poteri vogliono pretendere. Dalla parte del cittadino sarebbe certamente meglio pensare a sanzioni per chi propone querele temerarie, che al di là del danno che recano al giornalista, puntando a imbavagliarlo, limitano fondamentalmente il diritto di sapere.