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“The punisher” Rodrigo Duterte vince le presidenziali nelle Filippine. Un Paese terribile anche per i giornalisti

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In Occidente lo paragonano all’americano Trump, per la furia giustizialista, ma nelle Filippine è semplicemente “The punisher”, il punitore, come un vecchio terribile personaggio dei fumetti. Certo Rodrigo Duterte, detto Rody o Digong, è un personaggio duro. Ormai sicuro presidente dell’arcipelago asiatico con cento milioni di abitanti ha già promesso (o minacciato) di cambiare la costituzione, con il rischio serio di avviare il Paese verso una dittatura. E già in molti rimpiangono la pur durissima Gloria Arroyo che aveva già ristretto di molto le libertà individuali.  Ma l’ex sindaco di Davao è qualcosa di molto più pericoloso. Da far venire i brividi, come quando si è rammaricato di non aver partecipato allo stupro di gruppo di una missionaria, o quando ha fatto uccidere senza un processo da squadre private di vigilantes mille sospetti criminali (“farei uccidere anche mio figlio se si drogasse”, ha dichiarato) o che chiama il Papa “figlio di p.” solo perché con la sua visita ha creato problemi al traffico.

Settantuno anni, vita da libertino dichiarato (“premierei gli inventori del Viagra”), una moglie ufficiale e due occasionali, un paio di figli, da sindaco ha sempre fatto lo sceriffo, andando in moto in testa a squadre anticrimine e mettendo in cima ai progetti non soluzioni economiche per un territorio in grande crisi ma la lotta alla violenza diffusa: “Il mio governo costruirà meno prigioni e più pompe funebri per i trafficanti”, ha giurato. Si professa cattolico ma ammette di non andare in chiesa. “Se rispettassi i dieci comandamenti non potrei mai fare il politico”, spiega ridendo.

A suo merito sul fronte dei diritti umani è ascritta la nomina di un vicesindaco musulmano, nonché le sue pubbliche aperture ai diritti dei gay e dei transessuali. Ma gli oppositori ricordano che per portare Davao al quinto posto tra le città più sicure del mondo, Duterte ha stretto un’alleanza anche con i guerriglieri comunisti del Sud, con l’idea di cooptare qualche ribelle perfino nel nuovo Gabinetto. E a chi pensa all’ipotesi di un golpe militare si ricordano strane alleanze.

Certamente per le Filippine si prospetta un futuro buio. Un Paese terribile anche per i giornalisti. Un morto già quest’anno, sette l’anno scorso, 150 – secondo Amnesty – dal 1986 ad oggi con soli quindici arresti. Per non parlare delle torture. Un paradiso a guardarlo da lontano, un inferno a starci dentro.


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