Un’idea di quale potrebbe essere, nelle settimane che ci dividono dal voto popolare per le amministrative e il referendum, l’autonomia dei telegiornali RAI nei confronti di Matteo Renzi la si può già vedere guardando ed ascoltando i servizi che accompagnano la sua campagna elettorale permanente in giro per l’Italia. Ieri toccava a“Renzi, missione al Sud – diciamo sì al futuro”, come titolava il servizio del Tg1 delle 20, di Roberto Chinzari. Due minuti di taglio di nastri e applausi scroscianti degli invitati a frasi piuttosto scontate del repertorio del premier. Due minuti densi di esibizione renziana, intervallati da un solo fotogramma dei dimostranti nella piazza antistante al luogo della riunione, breve quanto bastava a coprire la frase “accompagnato da manifestazioni di protesta organizzata”. Neppure quell’unico fotogramma, invece, nel servizio di Fabrizio Frullani per il Tg2, dove la verve polemica del premier contro i “professionisti del no” e “i polemisti di professione” non aveva uno straccio di spiegazione locale. Così pure nell’edizione principale del Tg3, che tuttavia non ha dato grande importanza alla cronaca dell’avvenimento, facendo precedere la cronaca di Monica Giandotti da servizi sull’aumento dei morti sul lavoro, storie di disoccupati, emergenza profughi e crisi mediorientale, tutte notizie presumibilmente non gradite al governo. Quanto al tg la7, che come è noto il sabato non è condotto da Mentana, ha scelto l’onesta soluzione di un breve pastone politico, dove accennava alla giornata di Renzi mescolandola ad altre questioni di attualità. Insomma, i servizi dei telegiornali potete controllarli voi stessi andando sui siti web dei medesimi, ma per vedere e ascoltare qualcosa sull’accoglienza ricevuta a Palermo e Reggio Calabria dal presidente del consiglio, compreso un tafferuglio con le forze dell’ordine che sicuramente avrebbe ricevuto attenzione con altri leader politici, dovete accontentarvi del video de Il Fatto Quotidiano che vi mostro di seguito.
Nel complesso, un brutto segnale non tanto per la circostanza in se stessa quanto, come ho detto all’inizio, per le prospettive di imparzialità e completezza della nostra informazione televisiva. Mi spiace soprattutto per la mia vecchia testata e il suo direttore Marcello Masi, al quale ho recentemente riconosciuto il merito di avere restituito qualità e credibilità al giornale fondato da Andrea Barbato. Forse è vero quel che si dice in giro, che cioè con l’arrivo del nuovo coordinatore dei telegiornali voluto dalla riforma Renzi i direttori sono destinati a contare sempre di meno.
Concludendo un editoriale di oggi sulla Repubblica, Stefano Rodotà annota il pieno dispiegarsi, nei giorni nostri, “di quella che Abramo Lincoln chiamò la democrazia recitativa“, per cui “considerando la campagna elettorale, bisognerà garantire subito che la “recita” non sia riservata a un numero ristretto di personaggi. Questo chiama in causa particolarmente la televisione pubblica, ma implica una responsabilità dell’intero sistema informativo”.