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Bavagli nelle pubbliche amministrazioni. Alla faccia della trasparenza

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Una ventata di censura si sta abbattendo su numerosi settori della pubblica amministrazione. Vietato parlare con la stampa e con i giornalisti. Chi vuole rilasciare interviste deve essere autorizzato. Per chi non si adegua vengono annunciati provvedimenti punitivi… Chi è che alimenta questa ventata reazionaria che cerca di imporre la museruola a decine di migliaia di funzionari decretando il black-out dell’informazione sulla pubblica amministrazione? Partiamo dalle circolari-bavaglio.

Nei giorni scorsi sono state denunciate circolari allarmanti come quella del Sovrintendente archeologico di Roma che andando assai oltre il Codice di comportamento dei beni culturali varato in dicembre ha chiesto il silenzio stampa ai funzionari che nel caso di esternazioni dovrebbero chiedere il permesso preventivo a un soggetto “esterno”, neanche un funzionario del ministero dunque, indicato in uno dei membri dell’ufficio stampa che è un dipendente di una casa editrice esterna…
Nell’occasione sulla stampa che se ne è occupata, come Il Fatto Quotidiano, sono state richiamate misure analoghe varate in strutture come l’ospedale Cardarelli di Napoli. Non si è trattato dunque di casi isolati.
La riprova è arrivata subito dopo. Non appena se ne è parlato ecco infatti affiorare altre misure dello stesso tenore che nel frattempo sono state adottate in strutture pubbliche: l’ultimo esempio proviene dall’Asl Rm2 di Roma, quella che comprende ospedali come il Sant’Eugenio e il Cto. Regolamenti precedenti riguardano altre Asl, come la Rmg. Ma vediamo che cosa è stato diramato da poco dal Commissario straordinario dell’Asl Rm2, Flori Degrassi?
Il 13 aprile scorso l’intero corpo dell’Asl Rm2 è stato inondato dalla “disposizione di servizio numero 11”, quella intitolata “Rapporti dei dipendenti Asl Roma 2 con i mass media”. Nella circolare si afferma con grande perentorietà che i dipendenti “NON (in maiuscolo nel testo, ndr) possono intrattenere rapporti con i mezzi di comunicazione di massa (giornali, Radio-Tv) e, più in generale, con interlocutori esterni, ad esempio rilasciando interviste o divulgando informazioni apprese in ragione della propria funzione lavorativa”.
Nel prescrivere questo silenzio stampa si richiamano l’articolo 11 del Codice di Comportamento dei dipendenti della Pubblica Amministrazione e l’articolo 23 della legge 675/96 sulla riservatezza.
La circolare aggiunge poi: “Per rispondere a richieste di notizie da parte degli organi di stampa i Dipendenti devono essere autorizzati alla comunicazione verso l’esterno espressamente dalla Direzione Aziendale tramite i Responsabili della Comunicazione e l’Urp”.
La mancata osservanza si traduce “nell’applicazione di sanzioni disciplinari e contrattuali”.
I Direttori delle strutture infine sono invitati a “diffondere in modo capillare” la direttiva.
Il primo quesito che sorge è se sia mai possibile che il Codice di comportamento dei dipendenti della Pubblica Amministrazione richiamato dalla circolare preveda simili bavagli? Nel caso si tratterebbe di un testo decisamente incostituzionale, lesivo come è evidente dell’articolo 21 della Costituzione.

Vediamo gli articoli richiamati.
L’articolo 11 del Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, nel testo adottato il 16 aprile del 2013, è tanto per cominciare un’indicazione errata. L’articolo in cui si affrontano le dichiarazioni pubbliche dei dipendenti è semmai il 12, al secondo comma. E che cosa prevede questo comma dell’articolo 12? Stabilisce che “salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’Amministrazione”. Nient’altro.
L’articolo 11 esisteva, in verità, nel Codice di comportamento emanato il 28 novembre del 2000 e operativo fino all’entrata in vigore del nuovo Codice, varato come detto nell’aprile 2013. L’articolo 11 suonava come l’attuale 12, aggiungendo inoltre a fine comma che “il dipendente tiene informato il dirigente dell’ufficio dei propri rapporti con gli organi di stampa”.
Come si vede nell’attuale Codice, così come del resto in quello precedente, manca comunque qualsiasi riferimento a autorizzazioni preventive, come quelle ideate ora dai dirigenti che hanno emanato le circolari tra gli archeologi della Soprintendenza romana così come tra quelli sanitari dell’Asl Rm2. Non solo: nel Codice di comportamento in vigore è scomparsa anche la formula del dover tenere informati i dirigenti dei propri rapporti con la stampa.
E allora? C’è qualcuno che sta alimentando tutto ciò, giustificandolo di fatto quantomeno con un complice silenzio? Che cosa fanno e dicono vari dicasteri del governo in carica, dal ministero della Funzione Pubblica a quello dei Beni Culturali per approdare a Grazia e Giustizia dove è in corso di elaborazione il nuovo Codice di comportamento, con un articolo 12 in gestazione dello stesso tenore?


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