M5S resa dei conti, titola Repubblica. “La giustizia spacca i 5 stelle”, secondo il Corriere. La giustizia c’entra poco, sono le famose “regole” del movimento e l’insofferenza del vertice verso chi ha voglia fare di testa sua ad aver creato questo nuovo caso. Pizzarotti si è tenuto per sé la notizia dell’avviso di garanzia, Davide Casaleggio e il Direttorio ne hanno approfittato per togliersi un dente che faceva male. Il sindaco ha replicato pubblicando la mail in cui “lo staff” – chi è lo staff, ha chiosato, non rispondo a mail anonime – gli chiedeva “la cortese trasmissione della copia dell’avviso di garanzia ricevuto e di tutti i documenti connessi alla vicenda”. Poi ha pubblicato le chat con Fico – membro del Direttorio – al quale Pizzarotti chiedeva un incontro, una riunione per chiarirsi e definire insieme la posizione del Movimento. Richieste senza risposta. Invece è arrivata la sospensione e l’anatema di Grillo: “non si attendono le sentenze per dare un giudizio politico”. Inevitabile, dunque, la sospensione, dopo aver “preso atto della totale mancanza di trasparenza” del Pizzarotti. Tuttavia appare evidente come il sindaco di Parma non abbia nessuna intenzione di arrendersi alla Superiore Intelligenza del Controllo in Rete esercitato dalla Casaleggio e Associati, sotto la supervisione, dopo la morte del padre, di Davide Casaleggio. Ha provato a discutere con uomini in carne e ossa (Fico, Di Maio) ed è stato messo da parte. Lui non ci sta, ora si sfoga con i giornalisti come un fiume in piena: “il movimento ha sbracato”, “sono irresponsabili”, “non ci sono regole”, “potrei anche fare causa”, “che vuol dire sospensione?”, “chi ha deciso la sospensione, Davide Casaleggio o Di Maio?”. Il quale Di Maio, secondo Annalisa Cuzzocrea di Repubblica, avrebbe considerato “un errore cacciarlo via”.
“Non siamo un partito strutturato, siamo un movimento in costruzione, ha detto ieri Fassina a Bersaglio mobile dopo che il Tar aveva respinto il ricorso contro l’esclusione delle sue liste. Il candidato sindaco di Sinistra Italiana ha chiesto scusa a quella fetta di romani che “ha creduto in noi”, si è assunto la responsabilità del pasticcio e ha convocato per martedì tutti i candidati consiglieri per decidere sul da farsi. Poi ha aggiunto: “siamo dei beginners”. “Principianti”, un giudizio severo, dettato anche dall’amarezza, ma che purtroppo rende bene l’idea. Sinistra Italiana – fuoriusciti dal Pd, ex SEL, qualche ex grillino, altri piccoli gruppi organizzati – resta per ora un insieme di identità diverse, e in qualche caso raccogliticce, alla ricerca di un leader capace di federare o di intese locali che permettano alle varie anime almeno di coesistere. Non si vede in giro per l’Italia quel grande confronto, politico e ideale, che sarebbe necessario per battezzare una novità vera a sinistra. E la voglia, precoce, di confrontarsi con le elezioni amministrative ha reso tutto più difficile.
Una via d’uscita? Forse sarebbe il caso di convocare – dopo la riunione di martedì tra Fassina e i candidati senza più lista – una sorta di Stati Generali della Sinistra Romana. In campagna elettorale e purtroppo senza liste – a meno che il Consiglio di Stato non rovesci due gradi di giudizio -, per fare il punto sul programma, su qualche idea innovativa per Roma, da sostenere anche dopo il voto. Voto che, vista la pochezza dei candidati e dei programmi che si confrontano, molto difficilmente entusiasmerà i romani. Il Censis ha pubblicato alcuni dati sconfortanti sull’affluenza alle urne per le elezioni del sindaco: “in 12 anni Roma ha perso – scrive Massimo Franco sul Corriere – 572mila votanti, il 31,5%, Milano 225mila, meno 25%, Torino 166mila il 26,1; Napoli 89mila, il 15,9”. Bisogna ripartire dalle idee.
La ripresa dello zero virgola. Forse il PIL crescerà dell’1% a fine anno ma se tutto, se proprio tutto, andrà bene. Repubblica sciorina i dati del trimestre: consumi che salgono a febbraio a + 2,7. Maggiore fiducia o si approfitta dei prezzi in calo per spendere ora quello che non si è speso ieri e non si potrà spendere domani? Meno 0,5% i prezzi: si chiama deflazione ed è preoccupante. Il PIL nel trimestre è cresciuto dello 0,3, la produzione industriale rallenta, calano le esportazioni, non cresce la produttività, la disoccupazione non scende sotto l’11%. Insomma non c’è proprio di che vantarsi. Senza scelte di politica industriale, senza un piano per il lavoro, senza investimenti pubblici e privati, la politica degli incentivi alle imprese, dei bonus e degli sgravi, la gesticolazione muscolare in Europa senza un’altra idea di Europa, non produce che questo: una ripresa rachitica che ci espone a ogni rischio.
Tyssen, confermate le condanne, scrive La Stampa. La corte di Cassazione ha deciso, rigettando la richiesta del Procuratore di tornare in appello: 9 anni e 8 mesi per l’Amministratore delegato, la condanna per omicidio colposo “aggravato dalla coscienza del fatto”. “Per la prima volta, dice a Repubblica Raffaele Guariniello che sta scrivendo un libro sulla vicenda, non abbiamo cercato i capi officina ma i dirigenti che hanno la responsabilità”. “Ma nove anni per la verità sono troppi” aggiunge subito dopo. Lo sanno bene i familiari.