Prove generali di dittatura in Turchia. Dopo le repressioni del dissenso in piazza e i continui tentativi di imbavagliare la stampa libera turca, con chiusura di giornali, arresti e processi, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha preteso che il parlamento approvasse la revoca dell’immunità giudiziaria ai deputati. La norma, un emendamento costituzionale alla seconda e ultima lettura, è passata con 376 voti a favore.
Il partito di governo Giustizia e sviluppo , che conta 315 seggi, è riuscito quindi a evitare il referendum ottenendo l’appoggio di formazioni politiche dell’opposizione compiacente così da superare i due terzi dell’assemblea legislativa (composta da 550 membri).
Il parlamento aveva precedentemente approvato la prima e la seconda clausola del provvedimento che erano state poi sottoposte insieme all’assemblea, sempre in seduta plenaria, nella votazione finale.
Questa decisione avrà ripercussioni dirette su tutti i deputati sui quali pendono processi penali e in particolare sugli esponenti del Partito democratico dei popoli che rappresenta la comunità curda. L’Hdp ha fortemente criticato la misura e nell’annunciare nei giorni scorsi la propria intenzione di votare contro, la leadership aveva rimarcato come i parlamentari avrebbero dovuto scegliere tra “democrazia e fascismo”, tra “democrazia e il potere di una sola persona”.
La proposta di revoca dell’immunità in un primo momento era stata avanzata solo per i deputati dell’Hdp. Era stato il premier dimissionario Ahmet Davutoglu a modificarla, così da includere nel provvedimento tutti i rappresentanti del parlamento turco.
Almeno 46 esponenti filo-curdi dovranno affrontare procedimenti giudiziari, sulla base della legge antiterrorismo, per il loro presunto sostegno al Partito dei lavoratori del Kurdistan.
Appena la norma entrerà in vigore, subito dopo la firma del presidente Erdogan, si teme una retata di massa.
Ii parlamentari dell’Hdp e i repubblicani del Chp, principale partito di opposizione, parlano di golpe contro la democrazia.
Entrambe le formazioni politiche avevano fortemente criticato la scelta del governo di mettere fine alla tregua con il Partito curdo dei lavoratori e di riprendere il conflitto nel sud est, critiche a cui la maggioranza aveva risposto accusando i membri dell’opposizione di essere fiancheggiatori dei terroristi, chiedendone l’incriminazione con l’accusa di “propaganda a favore di organizzazione terroristica”.
Insomma, una chiara mossa del presidente Erdogan, nemmeno malcelata, per sbarazzarsi dei rappresentanti filo curdi che alle scorse elezioni avevano superato per la prima volta la soglia di sbarramento del 10%. E non solo.
Cacciare l’Hdp dal parlamento è il primo passo per portare a buon fine il processo di riforma costituzionale che traghetterebbe la Turchia verso il presidenzialismo, uno step che Erdogan ritiene di primaria importanza.
L’Akp, che non ha infatti un numero di seggi sufficiente a cambiare la Costituzione, con l’entrata in vigore della norma che abolisce l’immunità e l’apertura di processi a carico di parlamentari contrari alle modifiche, i rapporti di forza e i numeri all’interno del parlamento turco sono destinati a cambiare, e permettere così a Erdogan di attuare una riforma che gli consenta di accentrare ulteriori poteri esecutivi nella figura del presidente della Repubblica.
L’eventuale incriminazione e gli arresti di parlamentari curdi potrebbero inoltre ricreare quel vuoto di rappresentanza che in passato ha fatto salire le tensioni nel sud est del Paese, esacerbando così la violenza degli scontri nella regione curda.
L’opposizione ha fatto sapere di voler impugnare davanti alla Corte costituzionale la decisione, ma le speranze che l’esito del ricorso possa essere positivo sono pressoché nulle.
La deriva autoritaria di Erdogan appare ormai inarrestabile.