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Pannella, un fuoriclasse. I contemporanei non l’hanno capito

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Marco Pannella è stato un personaggio talmente debordante dai confini del politichese perbenismo farisaico da sembrare ancora vivo, con la sua voce, le sue affascinanti frasi ellittiche, i suoi mirabolanti eccessi. I famosi mezzi sigari alla grappa, le sigarette sempre accese come un intellettuale francese dei film di Renoir. Del resto, parlava un francese pressoché perfetto e si interessava ormai come pochi del “mappamondo”,  parlando con il mondo e con la storia. Certamente trasudava un compiacimento narcisistico. Ma se lo poteva permettere, perché altrettanto gigantesco è stata la statura del fondatore del partito radicale. Quest’ultimo nacque come una costola dei liberali e mai Pannella si è scostato da quel filo conduttore. Innervato e arato tuttavia da uno straordinario interesse per le persone e per gli ultimi. Di qui la profonda e appassionata battaglia per l’amnistia e per il miglioramento delle condizioni disumane delle carceri, popolate da donne e uomini spesso in attesa di giudizio o relegati in una discarica della civiltà. A fronte di una giustizia lenta, lentissima. Una tortura, come è stato stigmatizzato dalle istituzioni internazionali. E poi: la liberalizzazione delle droghe leggere, antidoto verso i poteri criminali, perché il proibizionismo è l’anticamera di un surplus di devianza, nulla risolvendo.

Ovviamente, la parte più nota e gloriosa di Pannella è la vicenda referendaria: dal divorzio, all’aborto, al finanziamento dei partiti, a decine di altri quesiti. Anzi. Persino chi lo ha avversato aspramente riconosce che senza quelle azioni premonitrici l’Italia navigherebbe in un’arretratezza ben maggiore sui diritti civili e sulle libertà. La cultura referendaria è diventata senso comune, grazie ai radicali. Insomma, l’intero paese ha tratto un enorme vantaggio dalle “intemperanze” di un intellettuale-politico d’eccezione. Un fuoriclasse. La politica, come dimensione totale, della mente e del corpo. I digiuni prolungati fino al penultimo respiro come dimostrazione della necessità di mettersi a disposizione fino in fondo. Il dolore del corpo come espressione pagana di una religione profondissima.

Quante storie, quanti aneddoti vengono a mente. Chi ha avuto il privilegio di conoscerlo potrebbe spiegare e divulgare la complessità affascinante di una figura –e lui l’aveva ben capito- che sarà scoperta e valorizzata solo ora, al cospetto della morte, che gli girava attorno da tempo e cui un fisico provato ma impertinente si era finora opposto.

Ma la memoria è l’immortalità dei laici. Pannella sarà forse ricordato in modo degno, finalmente. Ci sono volute le Parche, però, per risvegliare le coscienze.  Com’è cinico il destino. I contemporanei non l’hanno capito. Ed è curioso che i radicali abbiano sempre dovuto faticare, e non sempre riuscendoci, per stare in parlamento: gridando molto tempo prima temi che curiosamente assai dopo hanno fatto, ad esempio, la fortuna dei “5Stelle”. Il tempo si riconferma una variabile decisiva. Aver ragione troppo in anticipo per la cultura di massa equivale ad avere torto.  Meritava di divenire senatore a vita, almeno. E sì, perché la costante, quasi ossessiva lotta per lo Stato di diritto era ed è un vero omaggio alle istituzioni. Un “eversore” a favore della pienezza della democrazia e della Costituzione. Anzi. Radio uno della Rai ha ritrasmesso un’intervista netta a favore della Carta fondamentale, ora che purtroppo un pezzo (47 articoli) di essa viene preso a calci. Meditate, meditate, voi che ora riscoprite Pannella. Riscopritelo non come figura estetica, bensì nei risvolti di statista.

Solo un ricordo personale, se non è troppo. Riguarda Radio radicale, che ha appena compiuto quarant’anni. Nel 1997, quando ricoprivo il ruolo di sottosegretario del ministero delle comunicazioni (ancora autonomo), ebbi l’imprudente idea di proporre il superamento della concessione di servizio pubblico di cui si avvaleva la radio. Perché loro e non altri, proclamai come un piccolo “innocente” elefante nella cristalleria. Si sollevò il mondo, fui attaccato per tre mesi dalla radio medesima e un giorno arrivò Pannella in persona infuriato al ministero. Vi fu una raccolta di firme (545 se non ricordo male) tra camera e senato a favore della radio. Mi arresi (mi convinse facilmente Aldo Tortorella), felice di essere sconfitto, vista la immensità dei consensi che si manifestarono per una voce libera che rendeva possibile conoscere ciò che avveniva nel Palazzo, come lo aveva battezzato Pasolini. La resa fu “siglata” in quella casa di Pannella visitata nelle ultime settimane dai buoni e dai cattivi, in un tardivo pellegrinaggio. Mi presentai alle nove di mattina di un giorno e Pannella in pigiama mi abbracciò. Da allora sbocciò un affetto che ancora oggi mi porto dentro e la vita di radio radicale divenne anche per me un imperativo categorico.
Di cultura comunista, forse per questo, sarò stato d’accordo metà delle volte con lui. Che campione, però.


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