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Omicidio Moro. 38 anni fa. E molte cose ancora non tornano

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Un’ Alfa sud sfreccia  per le vie di Roma. Sta raggiungendo a tutta velocità via Fani. Alla guida Emidio Biancone, al suo fianco il capo della Digos, Domenico Spinella, che gli ordina di dare gas. Ha fretta, molta fretta. Mancano 20 minuti alle 9, al rapimento dell’onorevole Aldo Moro e alla strage della scorta. Eppure il capo della polizia politica sta già correndo su quella che sarà la scena dell’eccidio. Come è possibile? Oggi cade l’ennesimo anniversario, il numero 38, dal ritrovamento del corpo di Moro in Via Caetani, che ha cambiato il corso della storia d’Italia, l’appassionato e meticoloso lavoro dell’ennesima commissione parlamentare che si sta  impegnando a far luce sul segreto dei segreti della nostra Repubblica sta dando i suoi frutti. Pezzi di un mosaico che non servono a mostrare il quadro completo di quei giorni, ma che sono un contributo generoso verso la verità.

Il 6 aprile la commissione ha ascoltato Emidio Biancone, che all’epoca dei fatti faceva parte dell’ufficio politico della Polizia, la Digos, e spesso svolgeva le mansioni di autista del capo della sezione, Domenico Spinella. La loro auto, un’alfa sud beige, compare in tutte le foto della drammatica mattina del 16 marzo, perché fu fra le prime a giungere sul luogo e a rimanere poi bloccata dai nastri e dai rilevamenti delle forze dell’ordine. Tutti i testimoni concordano nel ricordare che la vettura giunse a pochi istanti, minuti, dalla fine delle operazioni.

E qui qualcosa non torna. L’allarme della questura a tutte le auto giunge alle ore 9.02, ma in quel momento Biancone, Spinella e ad un altro funzionario, il dottor Giancristoforo stanno già correndo fra le strade della capitale, sirena accesa e traffico saltato per giungere a tutta velocità nella zona Trionfale, dove si trovano la casa di Aldo Moro e via Fani. Spinella e Giancristoforo nel frattempo sono morti, e il merito di questa commissione è stato quello di rintracciare Biancone e convocarlo. Il suo racconto contiene alcune reticenze, ma sono finalmente giunte conferme ad una delle tante anomalie di quella giornata.

Intorno alle 8.30, 8.40 «Mentre il dottor Spinella si recava presso il proprio ufficio – ha raccontato Biancone – sito al primo piano della Questura, io ero rimasto nel cortile a parlare con altri colleghi. A un certo punto, da una finestra della Digos che affacciava sul cortile, il collega Enrico Correale – che era segretario di Spinella – mi chiamò a gran voce, urlandomi di fare in fretta e prendere l’autovettura di servizio, poiché stava scendendo il dirigente. Intuii subito che doveva essere successo qualche cosa di serio, perché percepii grande concitazione». Essendo bloccata da quella di altri colleghi, per la premura gli viene detto di utilizzare l’auto di Giancristoforo, parcheggiata meglio, segnale questo di estrema concitazione. L’ordine di Spinella è perentorio, recarsi in via Trionfale. Una volta avviatisi, dopo pochissimi minuti, ricorda Biancone, la radio cambia ordine, specificando di recarsi in via Fani, che da via Trionfale si dirama.
Quindi diversi minuti prima del primo annuncio ufficiale, quello delle 9.02 era chiaro che qualcosa stava per accadere o stava al momento accadendo in quella delimitata zona di Roma. Per percorrere i circa 10 km che separano la questura da via Fani i tre impiegano una ventina di minuti, utilizzando la sirena di ordinanza. Se l’auto effettivamente giunge quando Moro è stato appena prelevato, cosa successe negli uffici della Polizia mezz’ora prima?
Biancone non è purtroppo in grado di dire che tipo di comunicazione giunse ai suoi superiori, perché, afferma davanti alla commissione, Spinella non ne fece parola né allora né in seguito, limitandosi a indicare la via a Biancone, che non ne conosceva la posizione.

Proviamo a fare un poco di ordine: Spinella la sera del 15 marzo, a poche ore dal rapimento, si era recato negli uffici dell’onorevole Moro in via Savoia su sollecitazione dell’assistente di Moro, Nicola Rana, preoccupato da alcune effrazioni e segnalazioni di presenze sospette in zona. C’era quindi un allarme diffuso attorno alla figura di Moro. Inoltre gli uffici politici erano quelli impegnati a monitorare le trasmissioni radio delle emittenti considerate politicamente eversive. E la mattina del 16 marzo, attorno alle 8.30 tre testimoni, Clara Giannettino, domestica del senatore Cervone, Rosa Zanonetti e una donna sconosciuta che chiama TeleRoma 56, affermano di aver ascoltato le parole di Renzo Rossellini, figlio del regista Roberto e direttore di Radio Città Futura, l’oramai stra celebre «Forse rapiscono Moro». Furono gli addetti all’ascolto a segnalare a Spinella quanto appena udito, dando corpo ai dubbi del capo dell’ufficio? O quali altri informazioni erano giunte, così puntuali da spingere il capo della Digos a precipitarsi in via Fani?

Rossellini ascoltato dalla prima commissione Moro ha affermato di non aver avuto elementi certi, ma aver dato voce a quanto da tempo circolava negli ambienti dell’autonomia.
Conferma questa che si ottiene anche grazie a numerosissimi altri indizi: dagli articoli sinistramente premonitori di Mino Pecorelli, alle segnalazioni giunte dalle carceri italiane e da quelle captate in ambienti universitari e addirittura provenienti dai nostri agenti segreti in medio oriente, tutte precedenti il rapimento. Moro pare il protagonista di Cronaca di una morte annunciata di Garcia Marquez, in cui tutti i personaggi che ruotano attorno al protagonista sanno che questo corre imminente pericolo di morte, ma nulla fanno per evitarla, per ignavia, per convenienza, per curiosità, fino a che inevitabilmente il dramma ha luogo.

Eccone alcuni esempi:

17 febbraio 1978, manca un mese al rapimento di Moro e Stefano Giovannone, super agente segreto del Sismi in Medio Oriente, al centro di molti misteri fra i quali la scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo, scrive ai suoi superiori a Roma quanto gli ha appena raccontato George Habbash, leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina:«Imminente azione terroristica di grande portata contro un leader di primo piano in Europa».
«È possibile che Moro venga rapito»: è  un detenuto della casa circondariale di Matera , Salvatore Senatore, a riferire ad elementi dei servizi segreti quanto appreso da compagni di cella il 16 febbraio 1978, un mese prima del sequestro, ma la notizia, a sentire per lo meno il generale Sansovito tessera P2 numero, arrivò solo il 16 marzo stesso al Sismi.

Il 6 marzo la Securpena (struttura di supervisione delle carceri) segnala al Sismi che un ergastolano della casa circondariale di Campobasso, Cesare Ansideri, che aveva avuto contatti con alcuni brigatisti, ha rivelato che si sta progettando un attentato a “una grossa personalità di Roma”, allo scopo di ottenere in cambio la liberazione di alcuni detenuti politici. Il capo del Sismi, Santovito,di nuovo non si muove. Altro errore o una sottovalutazione non casuale?
Il 10 marzo Giuseppe Eusepi, professore cieco dell’università di Roma, davanti alla facoltà di filosofia sente una persona chiedere: «Hai messo tu la bomba all’università?». L’altro, Gianmarco Ariata, appartenente all’Autonomia,la cui voce viene in seguito riconosciuta dal professore, risponde: «Io queste cose non le faccio, tanto rapiremo Moro». Il professore racconta tutto agli agenti del posto di pubblica sicurezza dell’università, ma la notizia arriva alla polizia solo il 20 marzo, a sequestro avvenuto.
Ma come dicevamo fra i più informati c’è sicuramente Pecorelli a cui non sfugge un necrologio pubblicato sul quotidiano Vita Sera proprio il 15 marzo, con il testo seguente:

“A 2022 anni dagli Idi di marzo il genio di Roma onora Cesare 44 a.C.-1978 d.C. Proprio alle Idi di marzo del 1978 il governo Andreotti presta il suo giuramento nelle mani di Leone Giovanni. Dobbiamo attenderci Bruto? Chi sarà? E chi assumerà il ruolo di Antonio, amico di Cesare? Se le cose andranno così ci sarà anche una nuova Filippi?”. Era forse un messaggio in codice per Bruto, il via libera all’esecuzione? Inquietante, non c’è che dire. Giuseppe Marchi, cieco, rientrando a casa sua a Siena urta un’automobile ferma davanti al portone e sente una persona dire: «Hanno rapito Moro e le guardie del corpo». La sera racconta l’episodio ad alcuni amici in una trattoria. Il giorno dopo, avuta la notizia dell’agguato, si reca a riferire tutto alla polizia. Cinque testimoni confermano l’episodio: Marchi ha parlato dell’agguato di via Fani la sera del 15 marzo, qualche ora prima che il rapimento avvenisse. Nessuno approfondisce il caso, definito dal giudice Cudillo “sconcertante”.16 marzo, ore 8,30. Giangustavo D’Emilia, studente all’istituto Merry Del Val di Roma, annuncia ai compagni che quel giorno Moro sarà rapito e la sua scorta uccisa. Tutti i compagni confermano che la rivelazione è giunta prima della notizia.

Quanti veggenti in questa triste vicenda.


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