Giorgio Napolitano è qualcosa di più di un amico e di un senatore a vita per Matteo Renzi. Quando il 12 aprile la Camera ha votato definitivamente la legge costituzionale del governo, il primo ringraziamento di Renzi è stato per Napolitano. Il presidente del Consiglio ha lodato e riconosciuto i meriti dell’ex capo dello Stato parlando a Montecitorio: “Oggi non è una vittoria di Renzi è oggettivamente una vittoria di Napolitano”. Napolitano prima da presidente della Repubblica e poi da senatore a vita si è speso molto per approvazione delle riforme costituzionali, un traguardo difficile da raggiungere. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd si è spiegato il voto contrario al referendum costituzionale “solo con l’odio nei miei confronti”.
Oggi, dopo un mese dal voto della Camera, la battaglia sul referendum costituzionale del governo è già cominciata con largo anticipo. Renzi si è mosso con determinazione per il successo del “sì” al referendum confermativo previsto ad ottobre, mobilitando diecimila comitati per cancellare il bicameralismo paritario. Le opposizioni, sull’altro lato della barricata, sono pronte a giocare il tutto per tutto. Giorgio Napolitano anche ora, è un po’ il Lord Protettore di Matteo Renzi. Si schiera con il presidente del Consiglio per la vittoria del “sì”. L’ex presidente della Repubblica ha usato toni allarmati in una intervista al ‘Corriere della Sera’: «Se si affossa anche questo sforzo di revisione costituzionale, allora è finita: l’Italia apparirà come una democrazia incapace di riformare il proprio ordinamento e mettersi al passo con i tempi». Tanti diversi leader e presidenti del Consiglio, in oltre trent’anni di tentativi, hanno fallito nel progetto di rivedere la Costituzione: Bettino Craxi, Ciriaco De Mita, Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi. E ora «siamo in un ritardo gravissimo» secondo Napolitano.
L’anziano ex capo dello Stato puntella il giovane presidente del Consiglio, pur non risparmiandogli critiche. Renzi, per il senatore a vita, «ha sbagliato» a personalizzare in chiave politica il referendum perché con il “sì” vince «l’interesse generale del Paese» e «non è un’incoronazione». Napolitano non nasconde possibili ricadute politiche: Renzi “di recente” ha rettificato il tiro soffermandosi sui contenuti, tuttavia ora «sarebbe ipocrita negare conseguenze sul governo».
Il governo, la sorte di Renzi e della stessa legislatura. Il presidente del Consiglio e segretario del Pd, pur smentendo di volere un “plebiscito”, ha trasformato il referendum in un “sì” o in un “no” politico a se stesso. Non a caso lo considera la «madre di tutte le battaglie», si dice sicuro di vincere ma in caso di sconfitta ribadisce che andrà “a casa”. In sintesi: al referendum, oltre che sulla riduzione del numero e delle funzioni dei senatori, si voterà anche sui due anni del governo Renzi, sulle riforme strutturali (economiche, sociali, istituzionali) per sbloccare l’Italia da vent’anni di “immobilismo” e di “no”. L’ex sindaco di Firenze è fiducioso: «Sono certo che vinceremo, è la svolta dopo 63 governi».
Renzi contro tutti, però, è una mossa rischiosa. Tutti gli oppositori di Renzi sono pronti a coalizzarsi, anche le sinistre interne del Pd (fortemente divise al loro interno), nutrono pesanti riserve sul loro presidente del Consiglio e segretario. Ognuno compulsa i propri sondaggi, svolti con larghissimo anticipo, e canta vittoria. Per disinnescare la “mina” di un referendum su Renzi, i radicali di Marco Pannella hanno proposto il cosiddetto “spacchettamento”. Invece di un secco “sì” o “no” alla legge costituzionale del governo, si pensa a 3,4,5,6 quesiti sui punti più controversi del progetto. Al M5S sembra piacere questa idea, così pure a Sinistra Italiana e a diversi esponenti della minoranza del Pd. Ponendo domande specifiche sui contenuti, si depotenzierebbe un referendum tutto politico sulla persona del presidente del Consiglio. Si può percorrere questa strada in tre modi: 1) su iniziativa di un quinto dei parlamentari; 2) su decisione di cinque consigli regionali; 3) raccogliendo le firme di 500 mila cittadini.
La battaglia sarà campale. Le opposizioni puntano il dito contro «la deriva autoritaria» del presidente del Consiglio e della riforma costituzionale, perché concentra troppi poteri nelle mani del premier senza i necessari contrappesi democratici. Renzi definisce «sciocchezze» le accuse di rischi di autoritarismo e giudica la riforma costituzionale «una svolta epocale» per rendere più rapido ed efficiente il Parlamento, prevedendo la netta supremazia della Camera sul Senato (a Montecitorio verranno assegnati gli incarichi di votare la fiducia al governo e, in via di massima, di legiferare). Le opposizioni suonano la campana dell’allarme democratico, Renzi suona la tromba per far uscire l’Italia dalla “palude”.
Napolitano, 91 anni portati bene, ha sempre avuto un forte ruolo politico, ma anche adesso ha respinto come “stupidaggini” le accuse di interventismo presidenzialista al di fuori dei suoi poteri costituzionali. Ora agisce come “un senatore a vita”, non interferendo minimamente con le competenze del capo dello Stato Sergio Mattarella e con quelle del presidente del Consiglio Renzi.
Certo l’incarico affidato al tecnico Mario Monti di presidente del Consiglio al posto di Silvio Berlusconi suscitò, nel 2011, infuocate polemiche. Analoghe polemiche suscito anche l’incarico ad Enrico Letta, nel 2013, di formare un governo di “larghe intese” con Berlusconi (il centrosinistra non aveva la maggioranza al Senato) e quindi l’incarico conferito a Renzi nel 2014. Napolitano sollecitò tutti e tre questi esecutivi, con accentuazioni diverse, a percorrere la strada delle riforme costituzionali e strutturali, avendo come bussola «la coesione nazionale» e «la stabilità politica». I critici lo hanno accusato di aver di fatto trasformato l’Italia in una Repubblica presidenziale. Napolitano ha sempre respinto le accuse come “stupidaggini”, sostenendo di aver sempre agito nell’ambito delle sue competenze costituzionali. Certo ha agito con un forte ruolo in stagioni politiche non normali, ma eccezionali.