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Marco amava questo mestiere

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I tele cineoperatori sono come gli architetti, i loro nomi spesso non vengono neanche ricordati nei servizi televisivi. Qualche grande testata si dimentica pure di firmare le immagini, ma mai di firmare il servizio al giornalista che lo ha letto e che spesso lo ha scritto copiando solo qualche agenzia, senza muoversi dalla redazione,  rimanendo  dietro la sua scrivania ed inviando sul posto il collega tele cineoperatore.
I tele cineoperatori sono come gli architetti e i loro nomi  vengono spesso dimenticati. Ma, come per gli architetti, restano le loro opere. Spesso si passa davanti ad un teatro, si passeggia davanti ad un palazzo e nessuno ricorda più chi lo ha disegnato, progettato, realizzato. Non c’è una targa che ne ricordi il nome come avviene invece nei musei dove accanto ad una statua campeggia il nome di chi l’ha scolpita. Il nome non c’è ma rimane quel teatro, quel palazzo da ammirare. Dei tele cineoperatori restano le immagini. Che saranno utilizzate per anni ed anni, in altri servizi che racconteranno o rievocheranno quella notizia.
Simili ad un teatro o a un palazzo, tali rimarranno in eterno le immagini di Marco Sacchi, realizzate da uno dei professionisti più umani e sensibili che abbia mai lavorato in Rai. Sono sue le immagini di molti degli omicidi di mafia degli anni ottanta. Di tanti blitz antimafia. E’ lui uno dei pochi operatori che per due anni, sei giorni su sei, hanno ripreso senza sosta il maxiprocesso a Cosa Nostra, il più grande processo che la storia giudiziaria italiana abbia mai conosciuto. Sono sue le immagini della strage di Capaci, ancora sue quelle della strage di via d’Amelio. Sue le riprese  che nel 2011 raccontarono la prima grande ondata di sbarchi a Lampedusa, dopo le rivoluzioni della primavera araba nel nord africa. E quelle che due anni dopo raccontarono la strage di 366 migranti naufragati davanti alle coste di quell’isola. Sono sue le immagini di migliaia di eventi in Sicilia e non solo. Di bellissimi reportage all’estero realizzati per la rubrica Mediterraneo. Sue le riprese di tante partite di calcio di cui i tifosi più accaniti ricordano le azioni, i falli, i goal. Senza aver mai saputo chi quelle immagini ha realizzato permettendo di ricordarle.
Sono opera di Marco Sacchi e di tanti tele cineoperatori che come lui sono la colonna vertebrale di ogni telegiornale. E sono la notizia più vera. Perché le immagini non possono mentire, non hanno aggettivi, non possono raccontare realtà diverse. Sono le parole che lo fanno.
Dietro ogni immagine c’è una storia che spesso viene dimenticata. C’è la fatica di una lunga attesa che nessuno racconta. C’è anche l’aneddoto divertente che si tramanda nei corridoi di una redazione. Come quando Marco, al Maxiprocesso, venne chiamato dal presidente Giordano perché andava fatto un confronto all’americana e si cercavano uomini bruni con i baffi, dall’aspetto simile a quello del presunto colpevole che doveva essere riconosciuto dal testimone.  Come quando, il 23 maggio del 1992, andando sul luogo della strage, bloccato dal traffico che si era formato in autostrada, Marco ebbe l’intuizione di farsi portare sino al cratere dell’esplosione da un passante in moto a cui promise 50mila lire. Sapendo benissimo che nessuno in Rai gli avrebbe rimborsato quella cifra senza fattura. E quando a Lampedusa Marco si presentava alle 5 del mattino per l’appuntamento con le prime edizioni radio. Anche se non era necessario, perché era radio, non c’erano immagini da trasmettere. Anche se era stanchissimo perché aveva finito di effettuare le riprese dell’ultimo sbarco alle 3 di notte. Perché Marco amava questo mestiere. Amava raccontare con le sue immagini, in prima linea, anche i fatti minori.Sempre senza eccessi. Con grande rispetto del dolore che spesso devi raccontare. Senza ricerche di inutili scoop. Perché un’immagine più forte non racconta di più una notizia se ferisce delle sensibilità. E lo scopo è raccontare. E Marco lo sapeva fare.
Perché questa professione ti entra nel sangue. E’ più forte di ogni delusione, di ogni fatica, di ogni incazzatura. L’hai scelta e la vuoi fare ogni giorno. E alla fine non ti importa se il tuo nome verrà dimenticato.

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