Tutelare amministratori locali e pubblici ufficiali da minacce e intimidazioni è sacrosanto. Pensare di farlo prevedendo pene spropositate a carico dei giornalisti è fuori dal mondo. In questo modo, infatti, si introduce una forma intollerabile di bavaglio alla stampa. La presa di posizione dell’associazione “Avviso pubblico”, da questo punto di vista, è condivisibile. In prima linea per tutelare gli amministratori e i pubblici ufficiali che lottano contro la criminalità e il malaffare, soprattutto nelle zone di frontiera, Avviso pubblico considera un errore da correggere subito la norma, approvata quasi all’unanimità dalla commissione Giustizia del Senato, che introduce pene fino a nove anni di reclusione per i giornalisti che dovessero rendersi colpevoli di campagne di stampa a scopo diffamatorio o ritorsivo. È la stessa ragione che ha spinto la FNSI a promuovere, il prossimo primo giugno, insieme con numerose associazioni, una conferenza stampa per spiegare il pericolo rappresentato da quella norma e chiederne la cancellazione. Si tratta di una iniziativa aperta a tutti coloro che considerano la libertà di espressione un bene essenziale della democrazia e per questa ragione è auspicabile che voglia aderirvi anche Avviso pubblico.
Sarà l’occasione per chiedere al Parlamento non soltanto di cancellare quella norma, ma anche di riprendere in fretta due questioni cruciali che riguardano la tutela del diritto di cronaca e della libertà di stampa in Italia: la cancellazione del carcere per i giornalisti colpevoli di diffamazione e sanzioni efficaci per contrastare il fenomeno delle cosiddette querele temerarie. È una questione di civiltà giuridica, oltre che di qualità della democrazia. E per sgombrare il campo dal sospetto, avanzato da molti, che i giornalisti sarebbero mossi dal desiderio di impunità, giova ricordare che la FNSI chiede da anni l’introduzione nel nostro ordinamento del Giurì per la lealtà dell’informazione a tutela dei cittadini che dovessero sentirsi lesi dall’attività dei cronisti. È anche questa una norma di civiltà che il Parlamento può approvare in fretta. A patto che lo voglia.