Era il 16 maggio 1976 quando il Torino di Orfeo Pianelli e del sanguigno tecnico Gigi Radice conquistava il suo settimo e ultimo scudetto, ventisette anni dopo la tragedia di Superga, nel clima straziante di una città sconvolta dalla violenza brigatista che l’indomani avrebbe visto l’inizio del processo contro i fondatori delle BR, Curcio e Franceschini.
Era il maggio del ’76, quarant’anni fa, e quella squadra operaia, forte unicamente della classe di Claudio Sala, il poeta, e della leggendaria coppia d’attacco composta da Pulici e Graziani, quella squadra di uomini d’acciaio, senza particolari stelle ma con un cuore grande così, riuscì a regalare ai figli di chi aveva conosciuto gli eroi che, sul finire degli anni Quaranta, avevano rincuorato un’Italia umiliata e lacerata da mille rancori le stesse sensazioni di rivincita e di riscossa collettiva che avevano provato i loro genitori.
Era il maggio del ’76 ma quella magia, quella passione, quello spirito indomito e guerriero, tipico del vecchio cuore granata, grazie a Dio non è andato totalmente perduto. Nemmeno i miliardi, gli sponsor, l’affarismo spicciolo e la disincantata cialtronaggine dei tanti mercanti che hanno profanato il tempio del calcio, nemmeno questo declino, morale e civile, è riuscito a sradicare dal gioco quella magia bambina che lo rende ancora un romanzo popolare capace di affascinare e fare sognare milioni di persone.
Pensiamo a Luca Toni, capace di togliersi la soddisfazione di dire addio al calcio contribuendo alla vittoria della sua squadra, purtroppo già retrocessa, mettendo a segno un cucchiaio su rigore contro i campioni d’Italia, interrompendo una striscia di imbattibilità semplicemente mostruosa.
Pensiamo a Di Natale che ha salutato Udine dopo quattrocentoquarantasei partite e una miriade di gol, acclamato dai tifosi ai quali per tanti anni ha regalato una felicità pura, genuina e capace di fare breccia anche nel cuore di chi, magari, al di là dei novanta minuti che caratterizzano una partita, vive una condizione difficile, fra disoccupazione, povertà, precarietà e incertezza per il futuro e che, invece, in quel ragazzo dal volto pulito e sereno ha ritrovato una speranza e, talvolta, la forza di andare avanti.
Pensiamo a Miro Klose: attaccante prolifico, campione del mondo con la Germania, fuoriclasse indiscusso e, al tempo stesso, raro esempio di umiltà, di signorilità, di attaccamento alla maglia, mai una parola fuori posto, mai una dichiarazione sopra le righe, capace di farsi apprezzare per la serietà del suo lavoro e del suo impegno.
Pensiamo a Francesco Totti: magnifico nella sua caparbietà, nella sua tenacia, nel suo amore per una maglia cui ha donato la vita e con la quale è determinato a giocare per un altro anno, spendendo per il suo sogno fino all’ultima goccia di sudore, fino all’ultimo sforzo, fino all’ultima energia della sua passione senza confini.
E pensiamo, per cambiare sport, alla grandezza di Tania Cagnotto e Francesca Dallapè: tuffatrici ormai prossime alla curva conclusiva della carriera ma ancora in grado di regalarci soddisfazioni incredibili, di imporsi grazie alla leggiadra magia della propria classe, di vincere e di guardare avanti senza mai montarsi la testa, di metterci l’anima rispettando ogni avversaria e di vivere questi ultimi scampoli di gioventù atletica con lo stesso entusiasmo di quando avevano vent’anni.
E che dire dei successi di Murray e della Williams agli Internazionali di tennis? Spettacolo, energia, potenza, la forza aristocratica di una competizione di lusso e, al tempo stesso, la poesia di una resistenza che va spesso oltre l’umano, tanta è la fatica cui sono sottoposti i tennisti che giocano a quei livelli durante sfide nelle quali si confrontano i migliori interpreti al mondo.
E Max Verstappen, il più giovane pilota a vincere un gran premio di Formula 1? Ha l’avvenire davanti a sé, una bravura cristallina, il sostegno della scuderia, l’esempio di papà Jos e tutto quello che serve, in pratica, per diventare un grande e puntare al titolo: un obiettivo ambizioso cui siamo certi che, continuando così, giungerà prima del previsto.
E noi continueremo a seguirli, ad amarli, ad accumulare ricordi su ricordi, pianti su pianti, emozioni su emozioni, a ritornare ogni volta bambini e a credere ancora, nonostante tutto, a quest’eterna favola che ci affascina anche quando ci delude, dalla quale alle volte pensiamo di poterci allontanare ma alla quale poi torniamo sempre, come un amore infinito, come un sentimento indistruttibile, come un legame indissolubile con quella parte di noi stessi che vuole continuare a credere, o anche solo a illudersi, che le persone perbene, gli uomini giusti e dotati di un minimo di serietà e di rettitudine morale, almeno nello sport, possano avere la meglio.