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La vita di frontiera della giovane sindaca anti-cemento. Intervista a Isabella Conti

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“C’è un episodio, fra quelli che mi raccontavano quando ero piccola che è stato decisivo. Mio nonno partigiano che sull’Appennino bolognese combatteva l’avanzata dei nazisti. Quando finirono le munizioni, lui e il suo gruppo, anziché nascondersi nella boscaglia che conoscevano a memoria, iniziarono a tirare le pietre contro i tedeschi pur di rallentarli. Furono presi tutti. Solo mio nonno si salvò perché si lanciò dalla camionetta tedesca in corsa. Gli altri furono passati per le armi. Quella incapacità a rassegnarsi alle ingiustizie e quella voglia di ribellarsi alle brutture che sono attorno, è questo che mi ha spinto ad entrare in politica”.
Inizia da lontano e dalle basi il suo racconto, Isabella Conti, 33 anni, sindaca di San Lazzaro di Savena, 32mila abitanti alle porte di Bologna. Uno dei comuni più ricchi d’Italia eppure uno dei territori dove la politica sembra aver perso il suo significato più nobile.
A far parlare l’Italia intera di questo tranquillo paese è stata un’indagine giudiziaria  per “minacce a corpo politico” che vede Isabella Conti parte offesa, un’accusa grave formulata ad esempio nell’inchiesta sulla trattativa stato-mafia.
Pressioni ricevute dalla sindaca, da quando ha deciso di bloccare un mega progetto edilizio, la cosiddetta “colata di Idice” che prevedeva la costruzione a San Lazzaro di 582 nuovi appartamenti, una new town che sarebbe dovuta sorgere sopra una zona verde.

“Io non ero sindaca quando il progetto fu approvato, entrai in giunta a cose fatte, feci miei i dubbi degli ambientalisti su quell’opera che conteneva un’espansione edilizia notevolissima. Parlavano della zona di ricarica di una falda acquifera su cui avrebbero costruito, poi di fogne che non potevano tenere. In cambio del terreno pubblico, i costruttori, un consorzio che comprendeva alcune cooperative storiche del territorio, avrebbero edificato un polo scolastico. Allora mi chiesi se veramente avevamo bisogno di una nuova scuola o se la scuola era il mezzo pensato per farli costruire”.

All’urbanistica, all’epoca dell’approvazione del piano, c’era un assessore che contemporaneamente faceva consulenze per una grande cooperativa edile che prendeva appalti anche dal comune, e che avrebbe partecipato alla costruzione della colata. Per le polemiche fu fatto dimettere, ma il progetto andò avanti.

Quando fu eletta sindaca il progetto era ormai approvato?
“Si, lo dissi in campagna elettorale, non si poteva tornare indietro, la precedente giunta aveva votato il progetto. Mancava solo una cosa, la fideiussione bancaria da 13 milioni di euro che il consorzio doveva versare per garantire la costruzione della scuola. Non fu depositata nemmeno dopo una proroga. Mi allarmai. Se non erano stati in grado di esibire garanzie per 13 milioni come potevano trovare i 300 milioni necessari per costruire? Il rischio era che si sarebbero iniziati gli scavi e poi senza soldi rimaneva tutto così.
Decisi di bloccare tutto il piano edilizio”.

Cosa successe allora?
“Quando si è capito che facevo sul serio, a quel punto ho iniziato a vedere movimenti di persone che magari conoscevo solo di vista, che cominciavano ad interessarsi alla questione di Idice. Dicevano: “Ma tu che intenzioni hai? Stai attenta lì? È’ un casino!”
Nel giro di pochi mesi l’escalation.
Dai consigli, agli avvertimenti per il mio bene: “io ti voglio bene, non ti vorrai mica rovinare?”
La prepotenza, la sicumera, l’arroganza è stato il filo conduttore di tutta la vicenda. Dicevano pure: “tanto questa ragazzina alla fine fa quello che le dice il PD”.
Io non ho mai parlato di minacce. Se sono tali le valuta il giudice.
Però in quei mesi io non dormivo la notte. Ero preoccupata.
Pensavo: cosa potrebbero farmi? Prendersela con i miei genitori? Gettare fango? Senti che c’è qualcosa di imponente intorno. Come posso fare per risolvere il problema? Concedere la proroga, lasciarli costruire? Come ho pensato questo, mi sono sentita ribollire. Lì ho capito che era la scelta giusta.”

Quando ha deciso di denunciare?
“All’inizio non volevo farlo. Se questi avvicinamenti si fossero limitati a me non sarebbe stato un grosso problema, perché io tengo. Ma dopo di me sono arrivati alla macchina, ai dirigenti del comune, poi ai consiglieri. Dicevano: “facciamo ricorsi che fra 10 anni arriva la corte dei conti e veniamo a prendere la tua casa”. I consiglieri erano spaventati. Da lì a pochi giorni avrebbero dovuto votare la decadenza del progetto della “colata di Idice”. Quando ho capito che erano andati oltre, ho deciso di denunciare per garantire il voto libero del consiglio. Da lì la mia vita è peggiorata”.

C’è anche una frase che l’ex revisore dei conti del municipio Germano Camellini, avrebbe detto ad una impiegata comunale, riferita alla sindaca: “Ma la Conti vuole finire sotto una macchina?”  Lui ha replicato che la frase è stata equivocata.
Intanto la magistratura ha chiesto una proroga alle indagini da cui si è scoperto che nel registro degli indagati ci sono 6 persone: la presidente di LegaCoop Rita Ghedini (ex senatrice del Pd), il direttore di LegaCoop Simone Gamberini (ex sindaco Pd di Casalecchio di Reno), Stefano Sermenghi, sindaco Pd di Castenaso, il precedente sindaco di San Lazzaro il Pd Aldo Bacchiocchi, l’imprenditore Massimo Venturoli e appunto Germano Camellini.
Tutti gli indagati si dicono estranei alle minacce, semmai, precisano, i nostri erano legittimi interventi per difendere i nostri i interessi. A giudicare ci penserà la magistratura che deve valutare in assenza di una precisa normativa sulle lobby che in Italia manca. Sta di fatto che la richiesta di risarcimento al comune raccontata dalla Conti, è arrivata per ben 47 milioni di euro. Sarebbe questo il danno calcolato per la mancata costruzione.

Sul fronte politico la Conti ha ricevuto chiamate di solidarietà da Renzi, dal presidente della Regione Bonaccini e anche dal Partito Democratico, dove però sono in tanti a non amare le sue prese di posizioni forti. “Se fossi stata un uomo magari di mezza età sarebbe stato più facile. Io ho sentito moltissimo il peso di essere eletta a soli 31 anni. Fisicamente lo ho accusato”.

Se scadesse oggi il suo mandato, si ricandiderebbe?
“No, tornerei a fare il mio lavoro di avvocato. La politica mi ha deluso. Anche qui il confronto politico talvolta è di una bassezza devastante. Io voglio tornare a parlare delle questioni pratiche. Ci stiamo imbarbarendo. Siamo una città ricca, rischiamo di credere che con il portafoglio pieno abbiamo pieni anche la testa ed il cuore. Ma non è così”.

Lei ha criticato anche un sistema economico che qui è nato ed è considerato quasi sacro, quello delle cooperative.
“A Bologna il mondo cooperativo ha tenuto in piedi un tessuto sociale florido. Ha consentito all’operaio di far studiare il proprio figlio e diffondere benessere nel territorio. Il cambiamento è stato negli anni 80, una mutazione genetica. Quando la politica ha abdicato al proprio ruolo smettendo di essere guida, si è seduta e da lì in avanti è andata a raccattare i peggiori, i mediocri. Ha smesso di indicare la via, e ha subito il mondo cooperativo che è diventato centro economico di forza e potere e un grande bacino di voti”.

Come si cambia?
“Bisogna intanto cambiare la narrazione della politica. Ci sono molte persone per bene. La maggior parte. Tanti giovani amministratori che studiano e si impegnano. Non contano gli schieramenti, la differenza la fanno sempre le persone”.

Sono passate quasi tre ore dall’inizio della nostra intervista. In cui mi sono stati mostrati anche i tanti progetti in cantiere, molti riguardano la riqualificazione urbana, uno in particolare prevede di decementificare un vecchio stabilimento industriale per costruire un’area verde. Solo lì lo sguardo della sindaca si fa più sereno e compare anche un sorriso.


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