Dalla foto di Aylan al recente filmato della barca che si capovolge. Riflessioni sulle immagini ai tempi dei new media
Nel racconto delle migrazioni le immagini hanno più volte dimostrato la loro forza: i corpi di Lampedusa che hanno reso indelebile il ricordo di quel naufragio, il bimbo siriano che giace senza vita su una spiaggia turca. Entrano nell’immaginario, catturano l’attenzione, restano più impresse di tante parole. Un macabro spettacolo al quale, purtroppo, il pubblico italiano si sta abituando.
Segnaliamo oggi due articoli che offrono uno spunto di riflessione su questo tema.
Lo spettacolo del disumano
C’è qualcosa di osceno a fissare la foto della barca che si rovescia in diretta. Fissare quell’istante in cui uomini, donne, neonati colano a picco sotto i nostri occhi. Quell’istante. Di coscienza immediatamente sommersa dall’illusione del fatalismo dei naufraghi, dalle altre notizie.
Flore Murard-Yovanovitch, Huffington Post
Murard-Yovanovitch fa riferimento al video girato mercoledì 25 maggio dalla Marina Militare, nel quale si assiste al rovesciamento di un’imbarcazione a 18 miglia dalla Libia, carica di migranti e rifugiati. 562 i superstiti, 5 le vittime restituite dal mare. “Lasceremo quella barca rovesciarsi oggi come ieri e domani ancora. Sotto nostri occhi. Quella foto dovrebbe invece innescare una lotta frontale per fare sparire il disumano e distruggere quello che ci distrugge”, scrive la giornalista nel suo “Lo spettacolo del disumano“.
«Vi siete commossi per Aylan, ma continuate a costruire muri»
Otto mesi dopo, Abdullah Kurdi è un condannato alla vita con un ultimo desiderio che nessuno ha esaudito. «I bambini profughi continuano ad affogare ogni giorno, la guerra in Siria non è stata fermata. Vedo Stati che costruiscono muri e altri che non ci vogliono accogliere. Il mio Alan è morto per niente, poco è cambiato».
Fabio Tonacci, La Repubblica
All’articolo della giornalista Murard-Yovanovitch risponde bene l’intervista di Fabio Tonacci ad Abdullah Kurdi, padre di Aylan, la cui foto ha fatto il giro del mondo lo scorso settembre. Aveva fatto breccia nella coscienza di molti, portando personaggi di rilievo pubblico e istituzioni a interrogarsi su come far fronte alla situazione. Quell’immagine aveva persino spinto i media europei a cambiare atteggiamento, passando nelle settimane successive alla pubblicazione a toni più empatici. Ma l’Europa ha la memoria corta: «al di là della reazione emotiva del momento poco è cambiato», dichiara il rifugiato. L’intervista è disponibile qui.