l bonus è una fregatura. Costa e non risolve. Non funziona per ampliare l’occupazione (-77% quando è finito), non funziona per la natalità (bonus-bebè), né ha dato risultati in passato nella lotta alla povertà (bonus spesa).
Il palliativo del bonus mostra tutta l’incapacità dei governi di varare una vera politica sociale, che ha le sue basi nella lotta all’evasione e alla corruzione, per reperire i fondi necessari a un serio piano pluriennale di intervento. Invece, si naviga a vista, con annunci-petardo che durano lo spazio di una polemica, si tiene bassa la soglia della legalità perché tra politica e malaffare una mano lava l’altra, poi si passa all’annuncio successivo per attrarre di nuovo l’attenzione.
La strategia è quella del consenso di sensazione. Quello che serve a pompare un sondaggio un po’ moscio. O ad accattare il voto nella tornata imminente. La politica non è più in grado di progettare e realizzare cambiamenti strutturali e culturali. Non ha più la visione e credibilità per l’azione del medio-lungo periodo. Oggi un politico al massimo si sbilancia su quello che farà nei primi 100 giorni, ma non sugli obiettivi che intende raggiungere a fine mandato.
Poi, male che vada, si ricorre al bonus.
Un gelato panna, debito e consenso che non sazia, ma svaga.
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