Dieci anni di carcere. Questa è la condanna, emessa il 20 aprile ma resa nota solo il 18 maggio, nei confronti di Narges Mohammadi, giornalista e portavoce del Centro iraniano per i difensori dei diritti umani. La condanna effettiva è stata in realtà a 16 anni: cinque per “cospirazione”, uno per “propaganda contro il governo” e 10 per la militanza in Legam, una campagna per l’abolizione della pena di morte messa al bando dalle autorità di Teheran. Tuttavia, in base a una legge adottata nel 2015, in caso di condanna plurima viene fatta scontare quella più elevata.
Il marito di Narges, Tahi Rahmani, ha dichiarato a Reporter senza frontiere: “Questa sentenza è un atto di rappresaglia contro mia moglie e contro l’intera società civile iraniana. Orchestrata dalle Guardie rivoluzionarie e dal ministero dell’Intelligence, ha l’obiettivo di intimidire gli attivisti che forniscono al mondo informazioni sulle violazioni dei diritti umani in Iran”
Narges alterna periodi di carcere a periodi di libertà sin dal 1988, a causa del suo impegno in favore dei diritti umani. Le sue condizioni di salute non sono buone ma in carcere le cure mediche latitano. Lo scorso ottobre è stata ricoverata in un ospedale di Teheran, dove è rimasta per 10 giorni ammanettata a un letto, prima di rientrare in prigione contro il parere dei medici.
Secondo Reporter senza frontiere, in Iran sono 30 gli operatori dell’informazione (tra giornalisti professionisti, blogger e “citizen journalists”) in carcere.