1.652 miliardi di dollari le spese globali per la Difesa nel 2015, nonostante gli Stati Uniti – primi al mondo, oltre un terzo del totale – abbiano diminuito negli ultimi 5 anni il loro bilancio da 625 a 595 miliardi. Seconda la Cina, distaccata con 190 miliardi, salita quasi del 10%, arriverà a 255 miliardi nel 2020; quinta la Russia (54 miliardi), cresciuta del 21%, dopo Regno Unito e Francia (66 e 56 miliardi). Ma chi ha incrementato di più sono: Ucraina 70%, Iran quasi il 30% e Polonia 21%. Tutta l’Europa dell’Est sale in media del 13%, le Repubbliche baltiche del 20%. Stabili i Paesi del Golfo, in testa l’Arabia Saudita che nel 2014 aveva raddoppiato le importazioni e nel 2015 registra i primi lievi tagli in 10 anni.
Anche l’Europa occidentale, dopo 5 anni di contrazione, cresce e prevede un aumento di 50 miliardi da qui al 2020. In Asia, la Corea del Sud è al decimo posto nella classifica mondiale con 35 miliardi, e salgono le spese anche in Vietnam, Filippine e Giappone per modernizzare i loro arsenali. Ma quali sono le ragioni di questo riarmo? Tante guerre, conflitti, tensioni tra Paesi e minacce in corso, reali o percepite come tali, anche per la sicurezza nazionale. Le armi restano comunque un affare colossale, a cui i Paesi produttori non vogliono rinunciare, mentre i Paesi importatori beneficiano sovente di speciali accordi in cambio delle spese sostenute. Solo in Italia è triplicata nel 2015 la vendita di armi all’estero, da 2,8 miliardi a 8,2 miliardi, come rivela una relazione al Parlamento, anticipata oggi dal settimanale Nigrizia. Tra i destinatari anche Paesi in guerra.