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“Il giornalismo deve saper difendere la sua autonomia”. Intervista a Mimmo Candito

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“Accesso all’informazione e alle libertà fondamentali: questo è un tuo diritto!”. Ce lo ricorda l’Onu in occasione dell’odierna Giornata mondiale della libertà di stampa, ancora oggi del tutto o in parte negata in troppi Paesi, a costo perfino della vita di tanti giornalisti e altri operatori dell’informazione, oltre 700 uccisi negli ultimi 10 anni. Ma c’è anche una libertà manipolata come ci spiega, Mimmo Càndito, presidente in Italia dell’organizzazione internazionale “Reporter senza frontiere”.

“Siamo abituati – afferma Mimmo Candito – ad immaginare una repressione del diritto di parola, della libertà di pensiero con i regimi dittatoriali ed autoritari. Quando invece si parla dei sistemi democratici – pensiamo al nostro Paese – opera un altro intervento che è quello della manipolazione del potere sull’esercizio della libertà di stampa e sul libero fruire delle informazioni. Allora, quando si fanno delle classifiche come quelle di Reporters sans frontières, bisogna scavare un po’ sotto. Per quanto riguarda l’Italia, l’anno scorso ci sono stati 528 casi di pallottole spedite per posta, minacce telefoniche, intimidazioni, aggressioni fisiche, macchine bruciate, … che hanno costretto i giornalisti a sottoporsi alla cura degli agenti che ne difendono la vita. Queste cose accadono e se ne sa poco, ci dovrebbe essere una maggiore presa di posizione e di responsabilità da parte della società.  Appare anche un altro caso: qualche mese fa c’è stata la fusione tra le società del mio giornale – La Stampa  – e la società del gruppo editoriale Repubblica-L’espresso. Può accadere che questo comporti una tendenziale omologazione dei flussi informativi come per ragioni industriali”.

Si ragiona dunque poco su quanto la libertà di stampa sia collegata al godimento delle altre libertà democratiche…
L’informazione, il giornalismo, costruisce la realtà. Se questo flusso è controllato, intimidito, represso o comunque non può muoversi ed articolarsi liberamente nel suo pluralismo di voci, evidentemente ne risente il complesso, il totale della società. È un percorso che sfugge, perché? Perché c’è una galassia autentica di strutture informative, quindi si ha l’impressione che ci sia ovviamente il libero procedere del pensiero e della manifestazione dello stesso. Purtroppo invece la realtà dei fatti è piuttosto diversa.

Forse c’è anche poca consapevolezza che a limitare la libertà di stampa non sono solo gli Stati, le strutture governative, ma molto spesso sono grandi gruppi di potere che in tantissimi Paesi hanno preso il possesso di gran parte dei media …
Sì, questo succede anche in Italia. I processi di concentrazione tendono a limitare: perché questo? Perché per ragioni – anche – di ordine politico, ideologico, di massimizzazione del profitto e di riduzione degli investimenti industriali per ottenere il massimo dei risultati e dei ricavi, si può passare progressivamente da questa concentrazione verso una sorta di omologazione dell’informazione, cioè si riducono le articolazioni nelle quali la società autenticamente rappresenta sé stessa. È pericoloso in un quadro nel quale le fonti di informazione stanno prolificando in termini straordinari, però la loro capacità di articolarsi all’interno di questo sistema viene sempre più ridotta da ragioni economiche. Se il giornalismo non sa difendere la propria autonomia dalla pressione di questi elementi, è un giornalismo sicuramente danneggiato, forse anche perdente.

È caduta anche l’illusione che l’ambiente digitale di per sé avrebbe favorito comunque la libertà di stampa?
Sì, siamo tutti consapevoli e coinvolti da questa democratizzazione. Chiunque può essere produttore di informazione, questo è vero. Soltanto quello che stiamo vedendo o meglio quello che sta accadendo ma lo vediamo sempre meno – poco comunque – è che quattro grandi società stanno assumendo progressivamente il controllo dei nuovi media. Stanno in qualche misura concentrando sempre più l’articolazione – pur leader ancora – dei flussi informativi. È per questo bisogna discutere di questa questione anche nel momento stesso in cui stiamo lavorando sullo smartphone, sul nostro computer. Siamo sicuramente liberi finora, in questo momento, di esercitare un intervento sui flussi informativi, però non siamo ancora nella possibilità – o forse non lo siamo più – di controllare completamente il fluire di queste nostre articolazioni mediatiche. Quindi dobbiamo riflettere anche su questo. Quindi se una giornata come questa ha un significato, certamente leviamo il nostro tributo con tutta la retorica possibile a coloro che sono in galera o che sono stati ammazzati o che vengono ammazzati o minacciati ogni giorno, ma portiamo anche il nostro sguardo oltre, al di là, scaviamo sotto ciò che la realtà drammaticamente ci presenta, perché c’è qualcosa di più profondo che ci sta sfuggendo sotto l’apparente libertà assoluta di manifestarsi individualmente. Qualcuno ragionava, forse Ulrich Beck, molto intensamente sulla riduzione dei diritti collettivi e l’affermazione sempre più netta dei diritti individuali; questo significa sostanzialmente la frammentazione, l’atomizzazione della società e quindi la minore capacità degli individui di rispondere in termini credibili di difesa reale alla pressione dei grandi poteri quali essi siano.


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