Questo articolo racconta di un fatto successo a Rimini, ma potrebbe parlare di una qualsiasi altra città italiana, perché gli ingredienti sono la povertà, l’emarginazione e le politiche emergenziali completamente scollate dalla realtà. Andiamo con ordine.
L’emergenza abitativa in Italia bussa forte alle porte degli amministratori, soprattutto di quelli che, sotto spending review, faticano ad attuare politiche che non siano lautamente rimborsate. Così l’edilizia pubblica langue e la risposta alla perdita di un tetto non è programmata, sebbene l’onda lunga della crisi economica e dei movimenti migratori abbia avvisato tutti per tempo.
Rimini è, per rapporto proporzionale, in testa alle classifiche dell’Emergenza Abitativa. Un problema molto sentito da chi cerca di attivarsi in questa congiuntura, anche in maniera non convenzionale. Da una parte le opere della Caritas e simili che, sebbene meritevoli, offrono ristoro momentaneo con mense e ripari notturni. Dall’altra persone che si occupano di progetti mutualistici, nei quali sono previsti percorsi di riscatto. Tra i due fronti l’Amministrazione con dispendiosi progetti, che soccorrono poche persone, solo se residenti.
In questa cornice si è inserita quest’inverno la Casa dell’Accoglienza Don Andrea Gallo. Tutto nasce dal Villino Ricci, immobile lasciato in eredità al Comune, in totale stato di abbandono, oggetto di un’occupazione a fini abitativi. I suoi abitanti, ventidue, precedentemente sgombrati da altre occupazioni sempre a fine abitativo, su ispirazione dell’Associazione Rumori Sinistri, si organizza in una piccola comunità o, per meglio dire, una grande famiglia. Addirittura si sperimentano iniziative mutualistiche, come il Guardaroba Solidale, gestite dagli stessi homeless per altri senza tetto.
L’esperimento fa troppo rumore. Molti non saprebbero spiegare come un’esperienza virtualmente a costo zero possa far meglio dei progetti “housing first” da centinaia di migliaia di euro, costosi residence che aiutano dieci persone l’anno. Così Villino Ricci viene sgombrato, usando come scusa supposti problemi strutturali, di cui alcuni professionisti certificano l’assenza.
A questo punto però scoppia un caso mediatico. Il Comune vorrebbe distribuire gli sgomberati per le varie strutture con regolari rapporti istituzionali, ma, come detto, il loro supporto è emergenziale e limitato a pochi giorni. Nel frattempo sta arrivando l’inverno e i sei senzatetto morti l’anno prima sono impossibili da far passare sotto silenzio.
Dopo quindici giorni di contestazioni e raffazzonate spiegazioni il Comune apre l’istruttoria per assegnare, a luogo di dormitorio, un’ex cartiera, uno stanzone rettangolare attrezzato con le reti della Protezione Civile da occupare la sera e lasciar libero la mattina. All’istruttoria vengono invitate tutte realtà che si occupano di assistenza ai bisognosi, però si prevedono solo 15.000 €, a titolo di rimborso spese, fino alla fine dell’inverno. Nessuna delle associazioni chiamate in causa supera il livello informativo. All’ultimo incontro si presenta solo Rumori Sinistri, a cui importa poco dei soldi, ma molto del progetto. L’ex cartiera viene ribattezzata Casa Don Gallo, in onore di Andrea Gallo, e, con questo nome, non si presta a dormitorio nemmeno per un giorno. Una serie di progetti trasformano la Casa dell’Accoglienza in un percorso di riscatto per tutti i suoi ospiti.
Durante l’inverno, sebbene la capienza massima sia di quaranta persone, molto più numerosi sono i senzatetto che attraversano i servizi della Casa. Tra loro Toni, imprenditore caduto in disgrazia che, dopo aver lavorato come stagionale sul territorio, è sprofondato in stato di indigenza e da sei anni non faceva un Natale al caldo. Oppure Antonella, ragazza di Napoli, salvata dalla droga dal suo compagno Mustafà, che sognava di organizzare un laboratorio di cucito con gli altri senzatetto. Tra gli ospiti migranti politici, economici, climatici e molti di loro frequentano corsi d’italiano proprio lì, in quello che doveva essere un dormitorio. Altri trovano un dottore, altri ancora qualcuno con cui condividere l’incertezza del futuro. Non è poco.
Arriva però la fine del periodo invernale, si spengono i termosifoni e finisce “l’emergenza freddo”. I quarantatre residenti ricevono una lettera di sfratto, con la quale si intima anche a chi li ha supportati di non usare le utenze, altrimenti la spesa sarà detratta da quel famoso rimborso di 15 mila Euro. Il vicesindaco, a cui era stato chiesto di trasformare l’emergenza freddo in emergenza abitativa, alza le spalle. All’immobile manca un bagno e sarà riqualificato per scopi sociali (ancora da identificare) con una spesa di 200 mila euro.
Gli abitanti di Casa Don Gallo chiedono attenzione alle istituzioni. Il Prefetto dice che non può fare niente e il Vescovo non fa pervenire la sua opinione né la sua attenzione. Il motivo, come scrivono gli stessi abitanti in una lettera indirizzata a Papa Francesco, è tristemente evidente: “ Se si dovesse continuare con il progetto – scrivono – noi saremmo una spesa che, per quanto piccola, non fa parte del business dell’accoglienza, una spesa non rimborsabile.”
La verità sembra essere proprio questa. Intanto a Rimini il Vescovo inaugura “l’Emporio Rimini”, un emporio della solidarietà, simile a tanti altri inaugurati dalla Caritas sul territorio italiano, anche con sfoggio di cardinali, dove però possono fare la spesa solo gli indigenti residenti, con apposita tessera. Carità e discriminazione possono far parte dello stesso progetto? Al taglio del nastro sindaco e vice sorridono a trentadue denti, forse perché sanno che questa ennesima azione di marketing è finanziata e non inciderà sul loro bilancio.
Gli abitanti della Casa dell’Accoglienza Don Andrea Gallo, ad oggi, non sono andati via e, anche se la vita ha insegnato loro a non sperare troppo nell’interessamento di un Papa, continuano con i loro progetti, aspettando il giorno in cui ancora una volta verranno cacciati con i manganelli ma, nonostante questo, non saranno in grado di dissolversi nell’aria.