“Non conosco chi mi ha sparato, ma so chi mi ha fatto diventare un bersaglio”, ha detto Can Dundar, appena dopo essere sfuggito a un attentato contro di lui, proprio fuori dalla Corte di Istanbul, mentre stava aspettando la sentenza del processo per cui è accusato di spionaggio e rivelazione di segreto di Stato.
Proprio il direttore di Cumhurryet, insieme al caporedattore Gul, avevano rivelato, poco prima delle elezioni, un passaggio di armi dalla Turchia alla Siria: un video mostrava camion scortati dai servizi segreti diretti verso gli jihadisti in Siria. Uno scoop pre-elettorale che ai due giornalisti le accuse mosse dalla procura di Istanbul. Allora il Erdogan si rivolse direttamente a Dundar: “Pagherà per quello che ha fatto”. Una minaccia diretta, commentò allora il giornalista in un’intervista alla Rai, dicendo: “Ho vissuto la stagione dei generali, ma non mi era mai capitato di essere minacciato direttamente dal Capo dello Stato”.
Oggi Dundar è stato condannato a cinque anni e dieci mesi, riconosciuto colpevole di «rivelazione di segreti di stato», stessa condanna per il caporedattore del giornale, mentre stati assolti dall’accusa di spionaggio.
Intanto, è stata annunciata per il 15 maggio la chiusura di Zaman, quello che fino a pochi mesi fa era il più letto quotidiano di opposizione in Turchia, poi commissariato dal governo e bloccato con l’irruzione della polizia. La procura accusava il gruppo di propaganda terroristica.
Così – mentre dall’Europa non arriva nessuna reazione, se non qualche dichiarazione di preoccupazione – continua la stretta di Erdogan alla stampa. Dundar non si fa intimidire. Nonostante gli spari, appena dopo la condanna, Dundar ha dichiarato: “se la ricerca della verità è un crimine, continueremo a commetterlo”.