Assostampa Sicilia, Carta di Roma e LasciateCIEntrare sottoscrivono una mozione. Bellu: “Gravissimo che sia impedito l’accesso alla stampa”
A cura di Redattore Sociale
Che il ministero dell’Interno garantisca “l’esercizio del diritto di cronaca attraverso l’accesso della stampa agli hotspot“.
A chiederlo sono Assostampa Sicilia, Carta di Roma e LasciateCIEntrare, attraverso un documento che invita il Viminale a “individuare modalità puntuali per assicurare l’accesso della stampa e affinché le autorizzazioni all’accesso non siano concesse su base discrezionale” ai centri di identificazione e smistamento. Finora, infatti, il ministero ha negato sistematicamente agli organi di stampa che ne hanno fatto richiesta l’autorizzazione ad entrare negli hotspot, a causa di “esigenze organizzative” (un esempio di lettera attraverso la quale il ministero comunica il diniego qui).
«È gravissimo che con rigore prussiano sia impedito l’accesso alla stampa, che così non può esercitare la sua funzione di controllo – ha affermato Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma, durante un incontro sul sistema hotspot e l’accoglienza a Pozzallo, nell’ambito del Festival Sabir – Su questo faremo una battaglia durissima».
La mozione annunciata dalle associazioni ricorda che nel 2012 il Tar del Lazio era già intervenuto in materia dichiarando illegittimo il divieto di opporre ai giornalisti un generico diniego di accesso ai centri d’identificazione e espulsione per migranti (Cie). Alla sentenza positiva si era giunti grazie al ricorso presentato dai giornalisti Raffaella Maria Cosentino e Stefano Liberti, ai quali era stato ripetutamente negato l’accesso a tali centri, sulla base di una circolare diffusa nel 2011 dal ministero dell’Interno, allora guidato da Roberto Maroni, che disponeva il divieto di ingresso per i giornalisti presso i centri per migranti.
“Il diniego sistematico di accesso della stampa agli hotspot – si legge nel documento – rappresenta un grave impedimento all’esercizio del diritto di cronaca, non rendendo di fatto possibile alcuna forma di documentazione giornalistica all’interno degli stessi centri e divenendo di fatto una censura sia per gli organi di stampa, che per la società civile che per l’opinione pubblica in generale“.