Ottobre 1893. Mentre i giornali pubblicano dispacci di polizia sull’agitazione promossa nelle campagne siciliane da un movimento dal nome inedito, “Fasci dei Lavoratori”, Adolfo Rossi, un giornalista veneto noto negli ambienti della stampa per le sue cronache sul campo, decide di saperne di più. Parte per un’inchiesta nell’isola, ed è il solo cronista a farlo. Lo racconta “1893. L’inchiesta”, il documentario di Nella Condorelli, con un’introduzione del Procuratore Nazionale Antimafia, Franco Roberti.
In Sicilia, viaggiando a dorso di mulo, Rossi incontra i “Fasci”. Contano trecentomila iscritti. Non sono né banditi né briganti né cospiratori, sono contadini e zolfatari, uomini e donne laceri e affamati, in lotta contro la schiavitù del lavoro e la mafia dei feudi. Da tre mesi sono in sciopero, non zappano le terre dei signori, mangiano solo erba e fichi d’india. In Sicilia, nella regione più arretrata d’Italia, è esploso il primo grande sciopero contro lo sfruttamento del lavoro dell’Italia unita. In testa ai cortei stanno le donne: “Non immaginavo di trovare rozze contadine esprimersi con tale proprietà”, annota il giornalista in un articolo del 16 ottobre da Piana dei Greci.
L’inchiesta di Rossi è l’unica testimonianza diretta esistente del movimento considerato il più importante dell’Europa dell’epoca, per numero di iscritti e partecipazione. Secondo solo alla Comune di Parigi. Per Leonardo Sciascia, che ne parla nel saggio “La corda pazza”, è anche la prima ribellione contro la mafia dell’Italia moderna e contemporanea.