“Donne d’amore e di lotta”- Scritto e Diretto da Enrico Bernard. Attrice e danzatrice: Melania Fiore. Datore Luci e Assistente alla Regia: Riccardo Santini. Musiche G. Verdi, A. Dvorak, S. V. Rachmaninoff, F. Chopin, Patti Smith. Prod. Libere Onde -Teatro di Corte, Bedonia (Parma)- Da metà maggio al Teatro Morelli di Cosenza
Prosegue senza clamore, ma con lineare, adamantina coerenza stilistico\logistica (dopo il debutto a Stanze Segrete di Roma) questo piccolo, raffinato, capillarmente accurato ‘gioiellino’ di (sobrio) ‘teatro da camera’, drammaturgicamente imbastito dalla fertile, esperta inventiva di Enrico Bernard e fervidamente, ‘algebricamente’ interpretato da Melania Fiore, attrice, danzatrice, metronomo di una esemplare performance di teatro-in-fieri ove si innestano “meta-linguaggi intersoggettivi” (nell’unità di corpo e di spirito di una sola, multiforme interprete). E dunque ipotizzando (per poi dimostrate che tale può essere) l’alchimia e geometria dello spazio scenico quale luogo inatteso e imprevista ‘scatola magica’ (quasi un caveau poetico\prospettico\espressivo) entro la quale sperimentare elementi di nuova drammaturgia (scritta)- poi ben compiuta alla prova dei fatti.
Cuore pulsante di “Donne d’amore e di lotta” (cernita di esternazioni al femminile, cui -in itinere- altre si aggiungeranno, essendo ad in gestazione il monologo della madre del Giulio Regeni) sono tre storie di amore, passione e coraggio. Che per il tandem Bernard- Fiore aveva avuto inizio con un omaggio a Mary Shelley; e che adesso prosegue su nuovi, evocativi, sussultorei percorsi, dispiegati “in una parabola senza tempo” in cui dimensione di relazione deve essere l’ ‘hic et nunc’ di un pirandelliano ‘accade ora, accadde sempre’, a memoria sia emozionale, sia cultural-antropologica
Tre donne diverse, di diverse epoche, senza pretese di eroismo ed unite da un unico fil- rouge: il tormento perpetuo (cataclisma dell’anima) per il proprio uomo- per un ideale politico, per l’esistenza stessa cui dare scopi. Un turgore di sensi e intelletto che si esprime in una danza senza soluzione di continuità contro la violenza e l’indifferenza, non solo maschile.
Dunque, una sorta di viaggio magmatico (molto ‘concreto’, evergreen e senza nulla di ‘occulto’), dalla mitica Penelope alla terrorista ‘rossa’ tedesca Gudrun Ensslin, ‘presunta suicida’ nel carcere di Stammheim, sino ad una giovane, sconosciuta ai più, ma atrocemente oltraggiata al G8 di Genova tra le famigerate mura della Diaz. “Donne estreme che vivono passioni e ideali che le travolgono, dissolvendosi all’alba come i sogni”- annota Bernard, cui egli, in questo spettacolo, restituisce vita- nova.
Come nella abnegazione (ostinata, apparentemente irrazionale) di Penelope per Ulisse, ignaro, a sua volta che le ragioni del cuore (e del nomadismo amoroso di uomo-guerriero) mal si conciliano con il sentimento e la solitudine di una donna lontana- al cui ideale egli resta devoto, ma assente nel bisogno. E poi il concetto di giustizia sociale condiviso dalla Ensslin con l’uomo della sua vita, Andreas Baader capo di un’organizzazione sovversiva, e l’ingenuità della ragazza “che va incontro ai suoi aguzzini col sorriso in bocca”.
Tre donne (mi torna in mente un enigmatico, plurisignificante film di Altman dallo stesso titolo) che, a me pare, non ambiscano al sacrificio estremo, men che mai alla morte. Ma, quando ne stanno al cospetto- per orgoglio, ostinazione, fedeltà a se stesse- è come se svettassero da remote viscere terrestri, “scisse tra l’essere e il dover essere”, sentimento e ragione, dare senso (e forme) alla vita o gettarla (vanamente) alle ortiche. E quando ci sarà da scegliere sapranno di ‘fare la cosa giusta’. Creature rarissime.