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Altiero Spinelli e l’eredità dimenticata

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Altiero Spinelli, trent’anni fa: quanta tristezza! Tristezza perché dei suoi sogni e dei suoi ideali federalisti, nell’Europa di oggi, sembra essere rimasto poco o nulla. Tristezza perché in Austria, anche se non dovesse vincere, avrebbe comunque ottenuto una messe di voti un partito pericoloso, xenofobo e convintamente anti-europeista. Tristezza perché di quelle speranze nate sull’isola di Ventotene, negli anni della barbarie nazi-fascista, grazie al confronto tra giganti quali Rossi, Colorni e lo stesso Spinelli, di quelle speranze è rimasto poco o nulla. Tristezza e paura perché i rischi per il nostro futuro, per la convivenza pacifica e le prospettive di milioni di persone sono tali che per venire fuori da questo baratro servirebbe l’entusiasmo visionario che animò gli estensori del Manifesto di Ventotene mentre all’orizzonte, purtroppo, non si vedono altro che politicanti determinati a conservare la poltrona il più a lungo possibile e tecno-burocrati senz’anima che si ostinano a non capire che gli esseri umani non sono numeri e che le politiche di austerità cui sono stati sottoposti interi popoli costituiscono l’antitesi del progetto spinelliano.

Il guaio, e questo è ciò che ci rende più pessimisti, è che i suddetti signori lo sanno, sono perfettamente coscienti del dolore, della rabbia, delle sofferenze indicibili e della disperazione nella quale versano, ad esempio, i greci; sanno che, andando avanti con il rigorismo fine a se stesso e con i dogmi del liberismo selvaggio, l’Unione Europea è destinata a implodere; sanno che dietro l’avanzata dei Farage e delle Le Pen c’è lo sfinimento di chi si è visto tradito da una sinistra che, nel corso del tempo, ha progressivamente rinnegato se stessa, i suoi princìpi e le sue ragioni costitutive per lasciarsi andare ad una serie infinita di cedimenti, di riforme sbagliate, di cattiverie gratuite e arroganti come quella appena compiuta dal duo Hollande-Valls con la Loi travail, imposta dal governo senza passare per il voto parlamentare, e, cosa più grave in assoluto, di inseguimenti alle peggiori destre razziste sul versante dell’accoglienza e dell’integrazione dei migranti. Lo sanno, ne sono perfettamente coscienti eppure insistono, configurando lo scenario ideale per la dissoluzione dell’Europa, per il ritorno alle piccole patrie, per la riproposizione di quei conflitti e di quegli atti di barbarie che hanno insanguinato la prima metà del Novecento e dei quali si avverte drammaticamente l’eco quando si assiste alle scene che abbiamo visto in Ungheria, tra fili spinati e vagoni piombati con dentro i migranti, o nel fango e nella miseria nera di Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia.

Se Spinelli assistesse a questo scempio, non solo griderebbe, non solo si indignerebbe, non solo condannerebbe senza appello l’attuale classe dirigente europea nel suo insieme ma, di sicuro, si farebbe promotore di un progetto radicalmente alternativo, in contrasto con questo squallore populista e nemico del concetto stesso di umanità.
Se Spinelli vedesse in quali condizioni è stato ridotto il popolo greco, lo direbbe chiaramente che non è per asservire l’Europa agli interessi di lobby e multinazionali che ha sopportato il carcere, il confino e le innumerevoli angherie che dovette patire negli anni del fascismo e della guerra.
Se Spinelli sentisse parlare del TTIP, non avrebbe remore nel denunciarne l’incompatibilità con le ragioni costitutive del Vecchio Continente, aggiungendo che il liberismo non è una conquista di libertà ma la sua negazione, in quanto questa falsa libertà non riguarda i popoli, dunque le moltitudini, ma quell’uno per cento di ricchi e di potenti che può permettersi di dare le carte a scapito del resto della popolazione.
Dico tutto questo non per avere un testimonial di prestigio per battaglie politiche contemporanee che il nostro, ovviamente, non conosce e non può combattere ma perché basta leggerlo, basta seguire con attenzione le scelte compiute da sua figlia Barbara, basta approfondire i capisaldi del pensiero federalista per rendersi conto che quest’Europa è l’esatto opposto di quel sogno nato nell’abisso del Secondo conflitto mondiale e, purtroppo, naufragato a causa dei troppi ritardi, delle troppe incongruenze, dei troppi settarismi e della totale assenza di lungimiranza di governi nazionali attenti da tempo solo al proprio “particulare”.

Se Spinelli vedesse quest’Europa non solo non ne sarebbe orgoglioso ma, con ogni probabilità, se ne vergognerebbe. Tuttavia, dopo aver analizzato i problemi e condannato a dovere i responsabili di questo sfacelo, sono certo che si rimetterebbe al lavoro per far sì che il suo sogno si trasformi presto in realtà, che la sua idea visionaria non sfiorisca, che la sua speranza all’insegna della pace, della solidarietà e del benessere collettivo si tramuti in un partito, in un’associazione, in un movimento, in proposte di legge, in documenti, in libri, in trattati e in tutto ciò che può essere utile per costruire non solo un accordo politico ma, più che mai, un’opinione pubblica europea ed europeista.
E noi è proprio questo che dobbiamo fare, affinché la celebrazione di quest’anniversario non si riveli effimera, come troppo spesso è accaduto in passato con tante commemorazioni ipocrite di figure straordinarie che avrebbero fatto volentieri a meno dei nostri vani tentativi di lavarci la coscienza.


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