Cinque anni e 10 mesi. Il direttore del quotidiano turco di opposizione Cumhuriyet, Can Dundar, paga con sei anni della propria vita il diritto alla libertà in un Paese dove il diritto alla libera espressione negato. Il reato che la corte gli ha riconosciuto in primo grado è quello di violazione di segreto di stato per la pubblicazione dello scoop sul passaggio di armi in Siria che coinvolgeva anche esponenti dei servizi. Per la stessa inchiesta è stato condannato anche Erdem Gul, caporedattore della sede staccata di Ankara del quotidiano. I due giornalisti, non più accusati di spionaggio, devono ancora rispondere dell’accusa di terrorismo che potrebbe aprire per loro le porte del carcere a vita in caso di condanna.
In realtà tutti sanno che l’unica colpa Dundar e Gul è quella di aver voluto essere liberi di scrivere ciò che credevano e ciò che avevano verificato. Di aver voluto essere giornalisti fino in fondo. Il direttore e il caporedattore di Cumhuriyet vengono perseguitati dalla magistratura perché invisi all’uomo forte della Turchia, il presidente Recep Tayyip Erdoğan, che da premier dal 2001 al 2014 e da presidente dal 2014 a oggi ha creato un sistema di potere allargato a parenti e collaboratori che mal si accorda con la democrazia e, soprattutto, che non accetta critiche. E di critiche al sistema il quotidiano Cumhuriyet, facendo il proprio lavoro, non ne ha risparmiate arrivando in rotta di collisione con il governo islamista del presidente Erdogan che ha reagito scatenando nei confronti del giornale un’offensiva giudiziaria a colpi di inchieste. È la fine che fa chiunque esca dalla linea ufficiale: essere additati come un nemici e ridotti al silenzio. E, neanche a dirlo, chiunque è un nemico diventa un bersaglio. Come è successo a Can Dundar poco prima di entrare in tribunale a Istanbul, quando un uomo armato, il 40enne Murat Sahin residente nella provincia di Sivas nell’Anatolia centrale, gli ha sparato contro gridando «sei un traditore della patria». Dundar è rimasto illeso, ma un giornalista che si trovava vicino a lui, Yağız Şenkal della rete televisiva Ntv, è rimasto ferito da un proiettile di rimbalzo.
A un Paese nel quale il potere è gestito in questo modo, l’Europa sta facendo concessioni inammissibili. Lo fa per interesse personale, nel tentativo di bloccare l’onda migratoria verso il proprio territorio in un periodo in cui la crisi economica ha colpito duramente il ceto medio europeo. La prossima concessione, che dovrebbe arrivare entro giugno come previsto dall’accordo firmato con Ankara, potrebbe essere la cancellazione dei visti per i turchi che si recano in Europa.
Ankara la aspetta con impazienza e, nei giorni scorsi, la Commissione europea ha ufficialmente proposto la liberalizzazione dei visti per l’ingresso dei cittadini turchi nell’Ue è arrivata nonostante la Turchia ancora non rispetti sette dei 72 requisiti necessari per lo sblocco, nessuno dei quali però riguarda il rispetto dei diritti e, sopra tutti, quello della libera espressione. Una mossa politica, quella dell’esecutivo europeo, che va nella direzione sbagliata: noi siamo tra quelli che pensano che l’Europa debba fare più pressioni che concessioni ad Ankara, almeno fino a quando il governo e il sistema politico-giudiziario non dimostreranno di rispettare il diritto alla libertà di parola e di stampa, almeno fino a quando in Turchia il giornalismo non smetterà di essere considerato un crimine.