L’11 maggio 1946, settant’anni fa, si tenne alla Scala di Milano il primo concerto del teatro ricostruito, in seguito ai drammatici bombardamenti che aveva subito nella notte fra il 15 e il 16 agosto del ’43.
E il pensiero corre al sindaco Antonio Greppi che lo volle esattamente com’era prima: per dignità, per orgoglio ma, più che mai, per difendere l’identità della città dopo le innumerevoli sofferenze patite.
E corre all’assessore alla Cultura Achille Magni, artefice con Greppi di quel miracolo, animato da solidi ideali mazziniani e dal desiderio di restituire a Milano uno dei propri simboli, convinto com’era che quel teatro non fosse solo uno straordinario luogo culturale ma l’essenza stessa di una città che era stata la culla del Risorgimento e degli ideali resistenziali, la città di Verdi e Manzoni, la città in cui aveva sfilato il Comitato di Liberazione Nazionale il 25 aprile del ’45, la città del giornalismo, dell’editoria e di quel socialismo progressista che, prima di dissolversi fra le mazzette di Tangentopoli, è stato per decenni, insieme al comunismo emiliano, uno dei migliori modelli d’amministrazione presenti nel nostro Paese.
Non a caso, quella sera di maggio, a dirigere il concerto nella Scala ricostruita fu il maestro Arturo Toscanini: il direttore d’orchestra che era stato, per tanti anni, l’anima stessa della Scala, l’artista che era stato schiaffeggiato dai fascisti davanti al Teatro Comunale di Bologna per essersi rifiutato di suonare la Marcia Reale e Giovinezza, il galantuomo divenuto esso stesso un emblema della nuova Italia che venti giorni dopo avrebbe scelto la Repubblica ed eletto l’Assemblea costituente per lasciarsi definitivamente alle spalle il fascismo.
Toscanini come Verdi, dunque: dal desiderio di un’Italia unita e libera al sogno di un’Italia nuovamente unita, libera, democratica e giusta; gli ideali dei nostri due risorgimenti si tennero per mano quella sera di maggio alla Scala.
Diverse arie, capolavori della musica mondiale e tremila spettatori ma come scrisse Filippo Sacchi: “Quella sera [Toscanini] non dirigeva soltanto per i tremila che avevano potuto pagarsi un posto in teatro: dirigeva anche per tutta la folla che occupava in quel momento le piazze vicine, davanti alle batterie degli altoparlanti”.
Dirigeva per tutti, in quell’Italia povera, lacera, straziata ma desiderosa di prendersi per mano e di guardare avanti.
Dirigeva anche per i poveri, per chi non poteva permettersi il biglietto ma era ugualmente assetato di cultura, di poesia e di meraviglia dopo aver pianto infinite lacrime.
Dirigeva per restituire a se stesso le emozioni della gioventù, per restituire una speranza ai milanesi e a tutti gli italiani, per imprimere un segno tangibile di rottura col passato e di rinascita, per tornare a sognare dopo aver perso ogni cosa.
Dirigeva Toscanini nella capitale della Resistenza: per questo quel concerto è rimasto nella storia, per questo tutt’oggi lo ricordiamo, per questo merita di essere tramandato alle prossime generazioni, affinché non dimentichino mai quanto ci sono costati i diritti conquistati in seguito, quali sono le nostre radici, quanto siano importanti il sapere e la conoscenza per costituire dei degni antidoti alla barbarie ma, soprattutto, quanto sia importante resistere alla prima e più feroce delle tirannie: quella dell’ignoranza.