Cinque anni fa, a Gaza, veniva assassinato Vittorio Arrigoni: un pacifista innamorato della causa palestinese che per i suoi ideali aveva rinunciato ad una vita comoda e agiata e si era trasferito a vivere in uno dei tanti inferni dimenticati del mondo. Se c’è una cosa che non ho mai sopportato in questa drammatica vicenda è l’insulto che è stato rivolto ad Arrigoni dai soliti fondamentalisti di casa nostra, ossia di essere anti-israeliano. “Vik”, come veniva affettuosamente chiamato, non aveva nulla contro Israele in sé né, tanto meno, lo si poteva tacciare di anti-semitismo; al contrario, era un semplice attivista, giornalista e scrittore che si batteva contro la politica della destra israeliana, definita dannosa e pericolosissima per gli equilibri della regione, e di conseguenza dell’intero pianeta, anche da fior di scrittori israeliani come Yehoshua, Oz, Grossman e da un attore ebreo di fama internazionale come Moni Ovadia.
“Vik” aveva un motto, mai così attuale: “Restiamo umani”. Un grido di libertà, un messaggio di giustizia, di speranza e di fratellanza universale, un monito rivoluzionario in un mondo squassato dall’odio, dalla violenza, dalla volgarità e dal terrorismo. Ebbene, siamo costretti a constatare che oggi l’unico attore politico che ha scelto di far proprio quel messaggio e di trasformarlo in azioni concrete è papa Francesco.
Papa Francesco e la sua profezia nei confronti dei migranti, papa Francesco e la sua preoccupazione per gli ultimi, papa Francesco e il suo costante grido di dolore contro le ingiustizie e le atrocità che devastano il pianeta, papa Francesco e il suo pellegrinaggio nelle zone che nessun altro leader avrebbe il coraggio di visitare, papa Francesco e la sua attenzione agli sguardi dei bambini, dei poveri, dei disperati e di chi ha dentro tutto l’abisso e l’abiezione di questo tempo senza storia e senza pietà, privo di quel sentimento di misericordia cui nemmeno l’indizione di un Giubileo straordinario è stato in grado di restituire centralità.
Papa Francesco: apostolo di pace in un mondo sordo e cieco, testimone di una bellezza fragile e misteriosa che deriva dalla potenza spirituale del Vangelo, protagonista e interprete di un desiderio collettivo di riscatto ma, più che mai, stecca nel coro ipocrita degli indignati a comando, di coloro che piangono di fronte al cadavere del piccolo Aylan ma non battono ciglio al cospetto della chiusura delle frontiere da parte dell’Austria o dei muri che stanno rendendo l’Europa una prigione disumana.
Papa Francesco a Lesbo, in un’isola di quella Grecia che l’Unione Europea non ha saputo né voluto soccorrere, in visita insieme al patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, all’arcivescovo di Atene, Hieronymus, e a un presidente del Consiglio, Tsipras, che molti esponenti di quest’Europa avara e irriconoscibile hanno colpevolmente snobbato, nella speranza che il popolo ellenico ne bocciasse le scelte e non ne comprendesse fino in fondo la lezione di dignità.
Papa Francesco e la straordinaria potenza dei gesti, come quello di tornare in Italia con dodici profughi siriani: dodici come gli apostoli, simboli di quella fratellanza universale che costituisce una delle ragioni principali di questo pontificato.
Papa Francesco e la costruzione di un nuovo asse geo-politico che vece protagonisti non tanto gli uomini quanto, soprattutto, i temi dimenticati in trent’anni di egemonia liberista: dall’ambiente ai rapporti fra le persone, dal bisogno di comunità alla necessita, per l’appunto, di restare umani, di riscoprire il senso di un convivenza civile all’insegna del dialogo e del confronto, di favorire l’incontro e la riappacificazione per contrastare il baratro di malvagità nel quale stiamo sprofondando.
Papa Francesco, figlio di migranti italiani, uomo di fede che ha conosciuto sulla propria pelle l’indecente dittatura di Videla, erede del poverello di Assisi ma, prima di tutto, politico accorto e diplomatico abilissimo, capace di imprimere una svolta, spirituale e non solo, dalla quale sarà difficile per chiunque tornare indietro, anche perché è riuscito a conquistarsi un consenso e una credibilità di cui nessuno dei suoi detrattori dispone.
Infine, papa Francesco e le sue denunce contro i mercanti di armi, contro gli sfruttatori della disperazione altrui, contro gli schiavisti e contro i procuratori di morte, quest’uomo armato semplicemente di una croce e della forza dirompente della sua parola profetica sta riuscendo nell’impresa di modificare il dibattito pubblico globale e di riportare al centro della scena le periferie dimenticate.
Non potremo mai leggere il commento di “Vik” su questo cristiano autentico che sta facendo appassionare alla Chiesa anche milioni di laici e di non credenti in ogni angolo del mondo ma siamo certi che, se fosse qui, Vittorio lo ringrazierebbe di cuore, a dimostrazione che, nonostante tutto, è ancora possibile sognare e tentare di costruire insieme un’altra idea di futuro.