Allarme rosso per la democrazia dell’informazione. L’elettroregime di Matteo Renzi è persino più pesante di quello dell’allora premier Berlusconi – quasi da punteggio tennistico. I dati pubblicati dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (elaborati da Geca Italia) sulle presenze televisive di marzo sono impietosi e segnalano una bulimia mediatica senza precedenti. Il vecchio duopolio Rai-Mediaset ormai è un coro ossessivo con un’unica nota. Lo stesso Renzi si è lanciato nella serata di domenica in un’invettiva contro talk, facebook, twitter: “rei” di muovere delle critiche, come se anche l’articolo 21 della Costituzione fosse già stato abrogato. Eppure, proprio di tali strumenti si è giovato sempre con bulimia l’attuale presidente del consiglio per la sua affermazione.
L’inquietante gravità della situazione meriterebbe tutt’altra reazione. E’ un antico vizietto, duro a morire. La sottovalutazione fu un peccato già grave a fronte di una società più strutturata e di un sistema mediale lento e meno esteso. Ora è un vero e proprio peccato mortale, visto che ciò che residua della sfera politica naviga nel flusso ininterrotto della comunicazione. E non per caso il proprietario di Facebook Mark Zuckerberg ha adombrato una sorta di “scesa in campo”. Non solo. La “destra” culturale si sta riorganizzando, con Bolloré e il pur ammaccato –ma sempre vispo negli affari- uomo di Arcore. Le Monde è da un po’ che parla dei fenomeni in corso.
La copertura informativa del referendum del 17 aprile è stato l’anticipazione del clima che a breve si scatenerà sul voto confermativo sulla (contro)riforma costituzionale. Ecco, le parole a caldo del premier la sera di domenica 17 ci raccontano di quale miscela di demagogia ed arroganza autoritaria sarà infarcita la campagna che ci attende. E’ inderogabile, quindi, una campagna di chiarimento su quanto è stato deciso dalla maggioranza parlamentare, che ha scelto di ridimensionare fortemente il circuito democratico della decisione. Altro che riduzione della casta. Ma di tutto questo sarà possibile parlare in trasmissioni adeguatamente istruite e pubblicizzate (almeno come “Rischiatutto”), collocate in orari decenti? Tribune referendarie immaginate per il pubblico del “Commissario Montalbano”, per capirci. L’odierna routine va completamente ripensata. Basti osservare collocazione nel palinsesto e conseguenti ascolti degli spazi offerti dalla Rai alle “trivelle”. Tredici tribune ed altrettanti messaggi autogestiti, mai nelle fasce di buon ascolto, e quindi relegate a audience inesorabilmente modeste: da 71mila utenti ad un “picco” quasi eccezionale di un milione e 200mila. Il problema va studiato e a questo dovrebbero dedicarsi l’Agcom e la commissione parlamentare di vigilanza. Nell’ultima vicenda –sempre dai dati dell’Autorità- il tempo dedicato ai referendari è stato al di sotto di ogni sospetto, ma proprio l’Agcom non ha ritenuto di intervenire con i correttivi necessari. Tra l’altro, come ha sempre lucidamente sottolineato il centro di ascolto dei radicali, ore e minuti non vanno contati, bensì “pesati”. Una diretta del Tg1 conta ben diversamente di una tribunetta inserita a mo’ di riempitivo. E non è certo benaugurante la risposta data dal presidente Cardani ad Alessandro Pace, che presiede il comitato per il no al referendum. Non basta. Buio totale avvolge la raccolta di firme su ulteriori quesiti (contro la legge elettorale e la “buona scuola”, nonché le proposte sul lavoro).
Si avvicina un’altra notte della repubblica, in silenzio?
*Fonte: “Il Manifesto”