Referendum fatti, referendum in arrivo. L’ipertrofia referendaria è il sintomo di un deficit di rappresentanza. Gli elettori senza un partito si autoconvocano per auto-rappresentarsi ed esprimere insieme un bisogno, che in parlamento è sostenuto in schieramenti frammentati. Nascono comitati di base trasversali nell’impegno e verticali sul tema, che salpano sapendo che quasi sicuramente saranno ingoiati nelle sabbie mobili dell’astensionismo. E’ la nuova resistenza di chi chiede voce, ai padroni della parola pubblica. Di chi non è invitato ai talk show, ma si è comprato un altoparlante. Di chi non ha nessun giornalista a fargli domande e allora scrive cartelloni. E’ la democrazia dal basso che sbatte sul diaframma di autoreferenzialità dei partiti, senza militanti e con molti millantanti. Che dicono subito di chi sono amici, ma non vogliono cambiare le cose. Partiti che non hanno mai discusso le proposte di legge di iniziativa popolare, con gli scatoloni di firme raccolte ammassate nei sottoscala.
I cittadini sono ignorati dai partiti e molti li ricambiano con l’astensionismo. Ma lo sciopero della partecipazione inquina la democrazia. Milioni di non-voti che si sversano nei referendum e li rendono marci, fino a contaminare le falde della democrazia. Con gli opportunisti del potere che sfruttano questo vuoto per farsi leggi elettorali dovi i politici nominano altri politici e gli elettori diventano comparse per scene di massa nei kolossal dei carismatici.
In questa decomposizione della rappresentanza, la deliberazione fai-da-te dei referendum deve essere un segnale per la politica, soprattutto a sinistra, per unificare il tema della giustizia sociale con quello della giustizia ambientale. I milioni di votanti dell’ultimo referendum e di quelli in preparazione stanno indicando una strada di unità per scopi precisi – vere e proprie priorità costituzionali – che i partiti di sinistra, del web ed ecologisti devono considerare.
Perché siamo al limite. Solo una nuova rappresentanza può rianimare la speranza.
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