Nicola Gratteri con ogni probabilità verrà nominato dal Csm nuovo capo della Procura di Catanzaro, dove hanno sede anche gli uffici della Direzione Distrettuale Antimafia della Calabria. E’ probabile che per tale ragione gli sia stata rafforzata la scorta, di cui gode dal lontano 1989. Scorta che è stata aumentata anche ai suoi familiari, dopo l’episodio che ha visto coinvolto il figlio nella sua casa di Messina.
A confermare il tutto è stato il sottosegretario all’Interno Domenico Manzone, nel rispondere ad una interrogazione presentata dal parlamentare del PD Emanuele Fiano. Nello scorso mese di gennaio due persone travestite da poliziotti avevano citofonato a casa del figlio del magistrato, nella città siciliana, il volto coperto da passamontagna erano riusciti ad entrare. Solo un errore nel digitare il numero del piano, il quarto anziché il terzo, consentì al figlio del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, di barricarsi in casa e chiamare le forze dell’ordine. Per tale ragione nei giorni seguenti fu concessa una scorta supplementare al giovane universitario, perché i due falsi poliziotti sono andati a colpo sicuro: conoscevano con estrema precisione la sua abitazione, episodio quanto mai inquietante. Scorta che ora è stata estesa anche ad altri componenti della famiglia. Questo perché pare che qualcosa stia venendo fuori dalle intercettazioni disposte dalla Procura di Potenza in merito al caso Tempa Rossa.
Infatti il nome di Gratteri ricorre spesso nelle telefonate del compagno della Ministra Guidi, Gianluca Gemelli, quando si parlava del Procuratore come capo della commissione presso la Presidenza del Consiglio che avrebbe dovuto rivedere tutta la legislazione antimafia e quella contro la corruzione. E’ vero anche che il Premier Renzi avrebbe voluto Gratteri nel suo Governo, come Ministro della Giustizia, ma poi non se ne fece nulla, i retroscena raccontano che il veto arrivò sia dagli alleati di centrodestra che dal Quirinale. Ma l’autonomia del magistrato pare abbia preoccupato e non poco i componenti del nuovo “quartierino”, intreressato a Tempa Rossa.
Quindi potrebbero aprirsi nelle prossime settimane nuovi scenari, in quanto un filone dell’inchiesta del capoluogo lucano porta proprio in Calabria: ci sono sei persone indagate a vario titolo per disastro ambientale. Pare che gli scarti reflui dell’estrazione di petrolio siano stati sversati in alcuni depuratori calabresi, in particolare a Gioia Tauro ed a Bisignano in provincia di Cosenza. Si dice che tali scarti siano usciti con codici diversi dagli impianti, rendendo così possibile lo smaltimento in depuratori non autorizzati. Tuttavia su questa parte dell’inchiesta i magistrati hanno mantenuto uno stretto riserbo. E’ possibile che Gratteri da capo della Procura potrebbe avviare nuove inchieste, proprio sul traffico di rifiuti e tutto ciò, a qualcuno, non farà dormire sonni tranquilli.