Scesi ancora di quattro posti, fino al 77.esimo. Nella graduatoria che ogni anno compila “Reportes sans frontierés” sulla libertà di stampa incidono sicuramente due aspetti che hanno fatto retrocedere l’Italia. Intanto l’atteggiamento del Vaticano sul cosiddetto Vatileaks, cioè il processo a Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi che rischiano fino a otto anni di carcere per aver svolto inchieste su scandali e intrighi all’interno della Santa Sede. E poi le minacce e le intimidazioni a tanti cronisti impegnati sul fronte della mafia. Non meno di quattordici (ma secondo un rapporto dell’Ordine dei Giornalisti fra i 30 e i 50) vivono sotto scorta. Gli attacchi sono stati molto più numerosi: addirittura 132 soltanto nei primi quattro mesi del 2016 (quasi tremila negli ultimi dieci anni), per non parlare delle “querele temerarie”, specie alle piccole testate, che di fatto limitano di molto la possibilità di fare inchieste importanti.
C’è da dire tuttavia che “in tutto il mondo la libertà di stampa è in consistente e preoccupante declino”, come ha ammesso Reporter senza frontiere. “Ovunque – sottolinea Rsf – i leader politici sono “paranoici” nei confronti dei giornalisti e la sopravvivenza di un’informazione indipendente sta diventando sempre più precaria, sia nei media privati o controllati dagli Stati, a causa delle ideologie, soprattutto religiose, ostili alla libertà di stampa”. Una minaccia consistente al giornalismo indipendente è rappresentata inoltre anche da “strumenti di propaganda su larga scala”.
Un’analisi approfondita del rapporto presenta in ogni caso alcune anomalie. La Finlandia e comunque tutte le regioni scandinave intanto sono presentate come il “paradiso” dei giornalisti, dove c’è libertà assoluta. Ma la posizione, per esempio, della giustizia svedese sul caso Assange meriterebbe almeno qualche dubbio. Meglio di noi, sia pure di un solo posto, sta l’Armenia. Forse non sono stati presi in considerazione i 237 arresti per una manifestazione contro l’aumento dell’elettricità e il pestaggio dei giornalisti denunciato dalla giovane Tehmina Yenoqyan o l’arresto di Ani e Sarkis Gevorkyan durante le proteste contro il sistema pensionistico. Molte ombre sicuramente ci sono anche sulla Romania (52esimo posto) dov’è in atto una guerra fra i governo e i media indipendenti e dove i reporter subiscono evidenti pressioni politiche ed economiche. E anche in Moldova (76esimo posto), almeno nei confronti dei corrispondenti russi.
Sicuramente c’è una progressiva erosione del modello europeo. Soprattutto – rileva il rapporto – per “l’abuso delle leggi antiterrorismo, un fenomeno che negli anni scorsi era stato già studiato e denunciato soprattutto per quanto riguarda la libertà di stampa negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. “L’approvazione di leggi per la sorveglianza di massa, crescenti conflitti di interesse e un controllo sempre maggiore sui media di stato e anche privati” sono in preoccupante aumento. Il quadro peggiore probabilmente è in Polonia, dove la libertà di stampa ha subito un crollo vertiginoso a causa degli obiettivi, apertamente dichiarati dal governo, di prendere il controllo dei media di proprietà estera e soprattutto della legge, approvata all’inizio del 2016, che consente direttamente al governo di licenziare o assumere i giornalisti di radio e tv pubblica (proprio come in Turchia). In Ungheria che comunque si trova nella classifica più in alto dell’Italia (67° posto) il rapporto denuncia che il “consiglio dell’informazione, controllato dal governo, ha il compito di definire e assicurare il rispetto per la ‘pubblica decenza’ e la ‘dignità umana’. A minacciare l’indipendenza dei giornalisti europei c’è anche il conflitto di interessi”. Il modello europeo, sempre secondo Rsf, vede sempre più media di proprietà di grandi società con un’ampia gamma di interessi. Succede sicuramente in Italia, dove s’intensifica oltretutto la concentrazione delle testate ma è anche il caso della Francia (45esima) dove “la maggior parte dei media nazionali appartiene a un piccolo gruppo di imprenditori con interessi in aree economiche che nulla hanno a che vedere con il giornalismo”.
In Gran Bretagna (38esima) la polizia ha usato nuove leggi per violare le fonti dei giornalisti. Violenze fisiche sono state denunciate in Croazia (65esima) e Serbia (59esima), i giornalisti sono stati presi in ostaggio o sono stati vittime di attacchi dinamitardi. Tutte comunque prima di noi e forse non è giusto. In Bulgaria (113esima) il Paese europeo con la minore libertà di stampa, i politici e i gruppi di interesse controllano la maggior parte dei media. In Macedonia (118esima) la selezione fatta dallo stato sulle concessioni pubblicitarie è stata usata per controllare e imbavagliare i media.
Fra le notizie positive c’è sicuramente il passo avanti dell’Africa (per la prima volta). Si colloca infatti subito dopo l’Europa e prima dell’America, per colpa principalmente della parte meridionale del continente Un miglioramento dovuto sicuramente all’impegno delle nuove generazioni che si battono per i diritti. Resta drammatica la situazione: non c’è dubbio che sono decisive le censure di Paesi assolutamente antidemocratici come Cina (più di cento reporter e blogger in prigione) e della Corea del nord.
Resta alta invece la considerazione per la democrazia negli Stati Uniti (41esimo posto) anche se non tiene conto delle violazioni della privacy, ma è soprattutto il Sudamerica che fa abbassare il livello medio del continente, specie il Messico dove da anni c’è un’autentica strage di reporter che combattono i narcos: dieci soltanto l’anno scorso, già quattro quest’anno fra cui Anabel Flores Salazon, freelance madre di due figli, uccisa ne distretto di Veracruz, il più infernale.
Nel rapporto si rileva invece il miglioramento della Tunisia, che guadagna trenta posizioni e anche dell’Ucraina, che sale di ventidue posti grazie alla stabilizzazione del conflitto. Punite ancora le false democrazie dei Paesi arabi ricchi (Emirati, Oman e Kuwait) ma anche l’Arabia Saudita, il Paese forse più fondamentalista al mondo. Fanalini di coda per l’ennesima vota Corea del nord ed Eritrea, precedute da Cina, Siria, Iran, Vietnam, Somalia e Libia ma anche da territori ancora alle prese con guerre antiche, come Afghanistan e Iraq, o Turchia ed Egitto dove la repressione dell’informazione è a livelli inauditi, oppure la Russia dove l‘avversione per la stampa libera è di fatto sempre attuale: un giornalista, Dmitry Tsilikin, è stato ucciso a San Pietroburgo il mese scorso, ultimo di una serie che dalla disgregazione dell’Unione Sovietica ad oggi ha già fatto trecento vittime.
L’aspetto, in conclusione, più triste è l‘aumento dell’autocensura. Tutto è contro la stampa libera: leggi e abusi. Giornalisti sono stati condannati in tutto il mondo per reati come “vilipendio del presidente”, “blasfemia”, ” apologia del terrorismo”. E la reazione è stata quella spesso di fermarsi, chiudersi volontariamente la bocca, rinunciare alle indagini. In pratica scivolando verso il più grande pericolo per la democrazia. Un mondo senza testimoni, o testimoni muti, non è sicuramente un mondo migliore.