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La storia del giornalismo televisivo da’ ragione a Galantino e ai parenti delle vittime

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La storia del giornalismo della Rai è negli archivi aziendali e in parte su Youtube. Bruno Vespa cita alcuni filmati visibili sul web riguardanti interviste di Biagi a Sindona, Buscetta, Liggio. Ed è proprio quello che dice Vespa a dare ragione alle parole di monsignor Galantino. E chi, come il fratello di Peppino Impastato, ha dei dubbi sul far realizzare alla Rai una fiction su sua madre, perché quella di “Porta a porta” è stata “una messa in onda lontana anni luce dal dovere di cronaca e che può ricondursi piuttosto a un’operazione di basso livello editoriale per l’uscita di un libro che non merita di essere promosso e tanto meno dalla nostra tv pubblica.”

Come abbiamo scritto fin dal primo momento in cui è terminata la messa in onda dell’intervista a Salvo Riina, è del tutto ovvio che i giornalisti intervistino anche i peggiori delinquenti del mondo. E abbiamo citato Biagi e Zavoli. Ed è proprio lì che sta la differenza, l’assoluta specificità dell’intervista a Riina rispetto ai precedenti.

Qui parliamo di un colloquio in cui il protagonista era unico e assoluto – Salvatore Riina – non casualmente sempre solo e in primo piano, con un giornalista che non replicava ad alcuna risposta, non contrastava l’interlocutore, non lo incalzava mai. E si faceva continuamente riferimento al libro dell’intervistato appena uscito, titolo, editore, numero di pagine…

In alcuni momenti l’effetto era drammaticamente surreale, come se si parlasse di qualcosa di estraneo a quelle stragi, mostrate senza che Riina denotasse una sbavatura di emozione e senza che il giornalista replicasse di fronte ad affermazioni come “la mafia e tutto e niente”, “per i morti c’è rispetto comunque”, “mi hanno tolto mio padre” e così via.

E le omissioni che, qualcuno dovrà pur dirlo, sono giornalisticamente imperdonabili. Nessuna replica all’affermazione che i pentiti “in Italia non fanno un giorno di carcere”, nessun ricordo di intercettazioni del 2001 dove il giovane Riina afferma “si è deciso, abbattiamoli tutti”, nessuna sottolineatura che la madre era la sorella di un altro feroce killer della mafia, Leoluca Bagarella.

Non era questa la qualità delle interviste di Biagi, di Zavoli, di Jo Marrazzo e di tanti altri giornalisti della Rai che al servizio pubblico hanno dato lustro davvero. E’ proprio riguardando quelle interviste che la differenza appare incolmabile e quasi incredibile. Quei giornalisti andavano nelle carceri, nei tribunali, inquadravano il personaggio per il criminale che era, contestualizzavano ogni singola domanda, controllavano ogni dettaglio, verificavano anche le virgole, si documentavano non per giorni o per settimane, ma per mesi. E proprio per questo non serviva alcun pseudo contraddittorio. Finiamola una volta per tutte: la par condicio è stata un’invenzione dei partiti per spartirsi il loro spazio televisivo, non può esistere una par condicio fra gli assassini e le vittime, non può esistere una par condicio fra il bene e il male.

Sarebbe assai utile organizzare delle visioni pubbliche, anche per gli studenti, mettendo a confronto quelle interviste e le due puntate di “Porta a porta” e valutare, in modo scientifico, il messaggio che arriva al pubblico. I programmi di Biagi e di Zavoli, lo dico per conoscenza diretta, sono, del resto, fra i più richiesti da scuole e università. Ho molti dubbi che lo saranno le due puntate di “Porta a porta”, e le cito entrambe perché la seconda è stata anch’essa particolarmente istruttiva, con la sua attenzione per la crisi dell’antimafia. La memoria non fa sconti, soprattutto se la si può rivedere e riascoltare.

Ha dunque mille ragioni monsignor Galantino a sostenere che “bisogna avere giornalisti intelligenti, non inginocchiati, che sappiano fare le domande che la gente vuole fare a queste persone. Non i perbenisti ma la gente che ha avuto danni gravi e parenti ammazzati, perché tutti abbiamo avuto danni gravi da queste persone”.

E, purtroppo, ha ragione Giovanni Impastato che non dà più alcuna fiducia alla televisione pubblica. Ma la Rai riesce a comprendere tutto questo? Della missione del servizio pubblico possiamo sperare che almeno adesso qualcuno si ricominci a preoccupare?


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