Ha fatto benissimo il ministro degli Esteri Gentiloni a richiamare l’ambasciatore italiano al Cairo, sia pur solo per consultazioni, probabilmente in attesa di nuovi sviluppi. Ha fatto benissimo perché, pur trattandosi di una scelta tardiva, è comunque un segnale forte e importante che andava dato, se non altro per rispetto nei confronti di una famiglia sconvolta dal dolore ma comunque ricca di dignità come quella di Giulio Regeni.
Perché non possiamo accettare questa melina, queste continue prese in giro, questo vergognoso emergere e scomparire di prove, questo scaricabarile di responsabilità che la magistratura egiziana, per non parlare del governo al-Sisi e degli alti funzionari del paese, stanno mettendo in scena da mesi, fornendo versioni di comodo la cui credibilità è pari a zero, tentando in ogni modo di screditare l’immagine di un ragazzo di ventotto anni che si trovava in Egitto unicamente per svolgere il proprio lavoro di ricercatore.
Si sono inventati la droga, una relazione d’amore finita male, una banda di delinquenti comuni: è stata detta ogni infamia per far passare Giulio per un poco di buono, per uno che se le andava a cercare, per un ingenuo, per uno sprovveduto, quando si trattava, al contrario, di un cittadino del mondo, di un amante della politica, di un giovane che conosceva bene le lingue e stava studiando l’arabo proprio per comprendere meglio la realtà in cui viveva, di una persona dolce e sensibile che è stata massacrata secondo tecniche nazi-fasciste solo perché non si risparmiava nella denuncia del clima intollerabile che si respira in Egitto da quel maledetto 3 luglio 2013 in cui il generale al-Sisi ha preso il potere.
Il punto è che, giunti a questa fase della vicenda, Regeni non è più solo un giovane assassinato in circostanze non ancora chiarite: è diventato ormai l’immagine stessa di un Paese, il nostro, che non può abbassarsi all’infimo rango di una Burlonia senza dignità cui chiunque può rifilare la prima balla che gli passa per la mente, senza che nessuno innalzi il vessillo dell’amor proprio e della pretesa del massimo rispetto per i nostri concittadini e per le nostre istituzioni.
E pazienza se è in corso uno scontro all’interno dei servizi segreti egiziani, pazienza per le relazioni diplomatiche e commerciali, pure importantissime, con una Nazione ricca di petrolio e in grado di controllare il Canale di Suez, pazienza per il clamore mediatico internazionale della vicenda, anzi ben venga; pazienza perché qui è in ballo la tenuta stessa delle nostre relazioni con il resto del mondo, le quali subirebbero un drammatico colpo in caso di un eventuale cedimento alle palesi menzogne di un governo che da mesi ci sta umiliando e deridendo.
L’Italia non può tollerare che, oltre all’omicidio di un nostro connazionale, l’opinione pubblica mondiale debba assistere a un balbettio pericoloso e lesivo dei nostri interessi: non solo dal punto di vista etico ma anche sul piano commerciale e geo-politico, in quanto farsi la fama dello Stato-barzelletta che prende ordini da chiunque e non ha nemmeno un briciolo di spina dorsale vorrebbe dire subire una colonizzazione immediata ad opera dei grandi capitali stranieri che, come sapete, non attendono altro.
Se non si giungerà mai, come temiamo, alla verità effettiva su ciò che è avvenuto in quei drammatici giorni di gennaio, bisogna quanto meno pretendere che il governo egiziano la smetta di trattarci a mo’ di zerbini, di ammannirci versioni intollerabili, di illudersi di avere di fronte una corte di sudditi anziché un Paese sovrano e di pensare di poterci, di fatto, ricattare con interessi energetici che non possono e non devono mai venire prima non solo della vita umana ma nemmeno della stabilità di una Nazione che, specie di questi tempi, costituisce un punto di riferimento imprescindibile per quanto riguarda l’intricato scenario mediterraneo e mediorientale.
E la si smetta anche di raccontare la favola secondo cui l’Egitto va trattato con i guanti perché è un interlocutore essenziale nell’ambito della questione libica: vale il medesimo discorso che abbiamo fatto, qualche settimana fa, a proposito dei rapporti con la Turchia per quanto concerne l’accoglienza e il mantenimento dei profughi siriani, e anche in questo caso ribadiamo che sia l’Italia che l’Europa non possono farsi sostanzialmente assoggettare da paesi tirannici, nei quali non c’è alcun rispetto né per i diritti umani né per la parola data.
Se vogliamo, si tratta dell’ABC della diplomazia ma anche della necessità di instaurare relazioni internazionali nelle quali non sia consentito a nessuno di violare gli accordi, pena la definitiva perdita di centralità del Vecchio Continente e la trasformazione dell’Italia in una colonia di interessi non solo extra ma spesso addirittura anti-nazionali.
Giulio Regeni, in tutto questo, è un simbolo, un archetipo di cosa saremo in futuro, un modello, in positivo o in negativo, della nostra idea di Stato e di Europa, l’emblema di un Paese che o cammina a testa alta o rischia di non essere più nulla.
Per questo, al di là dell’amore e dello sgomento dei suoi genitori, comprensibile e vissuto con ammirevole compostezza, abbiamo il dovere di pretendere dal governo italiano la massima fermezza: perché la vicenda di Giulio, lo ribadiamo, ci dice molto su ciò che siamo ma, soprattutto, su ciò che saremo; può restitituirci l’orgoglio di essere un paese cardine di un’Europa che accoglie e integra i migranti e grazie al loro contributo guarda con speranza al domani o può condannarci ad essere i lustrascarpe di qualunque dittatorello da Stato libero di Bananas che si aggiri per il pianeta. In questo secondo caso, con Giulio sarebbero morti anche la nostra sovranità nazionale, il nostro ruolo in Europa e il nostro storico prestigio e altro non saremmo, dunque, che una Nazione fallita. Chi ci vuole spolpare non aspetta altro, il governo italiano ha il dovere di fornire il segnale esattamente opposto.