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Il giornalista decide la pubblicazione della testimonianza

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Cedu. Sentenza 22 marzo 2016 (Pinto Coelho contro Portogallo). Spetta al giornalista scegliere le modalità con le quali informare la collettività su questioni di interesse generale come lo svolgimento di un processo o un presunto errore giudiziario. Di conseguenza, va garantito il diritto a mandare in onda stralci di una testimonianza in udienza anche senza autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente.

È la Corte europea dei diritti dell’uomo a stabilirlo con la sentenza del 22 marzo nel caso Pinto Coelho contro Portogallo, che ha portato alla condanna dello Stato per violazione dell’articolo 10 della Convenzione europea che assicura il diritto alla libertà di espressione.
È stata una giornalista televisiva a rivolgersi a Strasburgo dopo la condanna, arrivata dai tribunali portoghesi, a versare un’ammenda di 1.500 euro per aver trasmesso il sonoro di un’udienza del processo a un cittadino di Capo verde, condannato a quattro anni di carcere per furto. Un errore giudiziario per la giornalista che aveva diffuso le registrazioni di testi che non avevano riconosciuto l’imputato. La cronista era stata così condannata per aver violato la normativa penale portoghese che consente la divulgazione di udienze solo previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Una scelta legislativa simile a quella italiana fissata dall’articolo 147 delle norme di attuazione al codice di procedura penale, sul quale la pronuncia è destinata a incidere.

Per la Corte europea, che non condivide, se la notizia è di interesse pubblico, l’obbligo imposto dal legislatore nazionale di una preventiva autorizzazione, la condanna è stata contraria alla Convenzione. Non spetta, infatti, ai giudici nazionali stabilire le modalità con le quali un giornalista procede a diffondere una questione di interesse pubblico. Tanto più che l’articolo 10 tutela non solo il contenuto, ma anche le modalità con le quali il reporter esercita il suo diritto alla libertà di stampa. Nessun dubbio, per la Corte, che le questioni legate all’amministrazione della giustizia hanno un interesse generale e che la libertà di stampa non può essere sacrificata, in via generale, sull’altare della buona amministrazione della giustizia. È vero – osserva Strasburgo – che lo Stato ha diritto di porre taluni limiti per assicurare lo svolgimento di un equo processo, ma spetta al Governo dimostrare che l’ingerenza nella libertà di stampa era necessaria e proporzionale. Se lo Stato non dimostra in che modo la diffusione di un sonoro dell’udienza produce effetti negativi sulla buona amministrazione della giustizia, l’ingerenza non è ammissibile.

E questo senza che sia rilevante sapere se le registrazioni sono arrivate nelle mani del giornalista in modo illecito. Ciò che conta, per Strasburgo, è che la diffusione del sonoro contribuisce a un dibattito di interesse generale. In questi casi, quindi, il giornalista non deve attendere alcuna autorizzazione, che i giudici internazionali sembrano non giustificare soprattutto tenendo conto che il processo era pubblico.
La Corte, poi, a differenza del passato, ha bocciato anche il ricorso a sanzioni pecuniarie piuttosto lievi. Questo perché, scrive Strasburgo, la sanzione comminata al termine di un processo penale ha in sé un effetto deterrente sulla libertà di stampa ritenendo, così, che il fatto stesso della condanna ha più importanza del carattere minore della sanzione inflitta.

Fonte: “Il Sole 24 ore”


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