Al Brennero in questi giorni i migranti che stanno tentato la via dell’Austria – nonostante l’emergenza sbarchi – sono davvero poche decine. Hanno gli stessi occhi smarriti e stanchi che vediamo a Idomeni, in Ungheria, a Ventimiglia. “Siamo ancora in Italia? È più grande della Germania?”, ci chiedono. Viaggiano alla cieca, non sanno dove sono e nemmeno dove arriveranno; sanno solo che devono raggiungere il Nord. Come un istinto. Come una necessità. “Cerco un futuro”, ti rispondono quando gli chiedi perché sono diretti a Monaco. Una tautologia, se ci pensa, ma è l’elan vital che gli ha permesso di attraversare prima il deserto e poi il Mediterraneo.
Non sanno che tra poco qui tornerà un sorgerà un altro muro. Che quella decina di operai sul Valico del Brennero stanno seppellendo – senza che l’Unione Europea faccia nulla – un altro pezzo di Schengen. Le minacce di Vienna sono diventate realtà in questi giorni. E non importa se quella dell’Austria è solo propaganda in vista delle elezioni presidenziali del 24 aprile. Non importa se, alla fine, quella famigerata rete che dovrebbe chiudere la montagna da parte a parte – attraversando autostrada, statale e binari – verrà innalzata davvero. La ferita – simbolica prima ancora che fisica – è profondissima. Stanno risorgendo i posti di blocchi, i controlli di frontiera, come decenni fa, proprio sul Valico del Brennero, emblema della libera circolazione di merci e di persone, simbolo di quell’Europa senza confini sognata dai padri fondatori, raccordo tra Sud e Nord Europa.
Da una parte e dall’altra di quella che una volta era la linea di confine, nel ’96 cancellata anche fisicamente dal Trattato di Schengen, oggi è tutto un fiorire di outlet e centri commerciali. Zona franca. Paesi che vivono da decenni di economia transfrontaliera. Proprio in quest’area, sorgerà il centro di identificazione per migranti e container per i funzionari di polizia. A Gries, primo comune austriaco, i proprietari dei negozi sono confusi, sopratutto: “La polizia ci ha chiesto in affitto i locali ad aprile e poi è sparita”, ci dicono. E se chiedi ai poliziotti austriaci nessuno sa nulla: “Lavoro qui, ma non so, chieda ai miei superiori”, rispondono, caricando su una camionetta due immigrati. Li seguiamo mentre li portano alla prima stazione dei carabinieri italiana. Li rivedremo, dopo poche ore, davanti alla stazione del Brennero.
Non sarà un muro di cemento, né il filo spinato di Idomeni, cerca di sminuire il presidente austriaco Hans Fischer, è solo “marketing di confine”, dice, mentre fa risorgere l’idea di confine, di piccoli staterelli egoisti basati solo sugli interessi nazionali. Come se non cancellasse in un momento quello che è in nuce l’ideale alla base della fondazione dell’Unione Eu. La polizia, intanto, ha piantato dei cartelli segnaletici. Per ora sono chiusi, ma basta aprirli per leggere “Grenzkontrollen”, controlli di confine, una parola che avevamo dimenticato. Mario Deriu, rappresentante del sindacato di Polizia Siulp di Bolzano, racconta come la decisione unilaterale di Vienna impatterà sull’Italia: “Bisognerà istituire tutte quelle procedure di controllo e di verifica tipiche della frontiera – dice -. Così ritorniamo indietro a più di 20 anni fa e calpestiamo chi ha creduto e ancora crede alla libera circolazione delle persone. La rete è intimidatoria come concetto, ma – anche se non ci sorgerà davvero – anche un’organizzazione di tipo militare è comunque una rete…”.
L’Austria teme l’arrivo di 300mila profughi, dopo averne accolti lo scorso anno quasi 90mila. Teme che – con la chiusura della rotta balcanica e qualora fallisse l’accordo siglato con la Turchia per il rimpatrio dei profughi (costato all’Europa 6 miliardi di euro e che rischia di far diventare un pezzo della Siria un campo profughi a cielo aperto) -migliaia di migranti scelgano di passare dal Brennero. E se Vienna chiudesse davvero, vedremmo, nel cuore del Vecchio Continente, sulla terra di uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea, le stesse scene di Idomeni. Migliaia di persone schiacciate contro una rete, con la speranza di sfondare, di oltrepassare il confine. Con buon pace dei diritti umani.
Eppure c’è qualcosa che non torna nella gestione del controllo dei migranti sui treni da parte della polizia. L’Italia ha accettato di far nascere la “scorta trilaterale” – una sorta di pattuglia formata da tre poliziotti, un italiano, un tedesco, un austriaco –. Noi la incontriamo durante il nostro viaggio in treno da Verona al Brennero, mentredividiamo lo scompartimento con due ragazzi provenienti dal Gambia, Aziz e Louis. Sono terrorizzati, quando i tre poliziotti, perché non hanno i documenti e temono di essere portati via. Invece, la polizia si ferma, chiede i passaporti, ma li lascia passare. E quindi mentre Vienna, minaccia, costruisce barriere, alza il tiro – “Siamo pronti a chiudere il Brennero, dice il ministro socialdemocratico (socialdemocratico) alla Difesa Doskozil – il suo rappresentante sul territorio non effettua nessun controllo. Viene da chiedersi quale sia il senso di una scorta trilaterale sul territorio italiano, che per altro consente ad Austria e Germania il controllo dell’attività delle nostre forze di polizia.Perché ancora non esiste una polizia europea? Vienna arriva addirittura a dire che potrebbe chiedere di fare controlli anche sul territorio italiano – “non diventeremo una sala d’attesa, con l’Italia che fa passare tutti i migranti e la Germania che li blocca sul confine”, tuona il ministro della Difesa -. Una richiesta scioccante per due paesi che fanno parte dell’Ue. Una richiesta di cessione di sovranità nazionale nell’Europa dei 28. Viene da chiedersi cosa ci sia di vero nelle dichiarazioni della politica austriaca. Quale sia l’obiettivo finale se non distruggere l’idea di Europa. Quella che ci ha garantito 70 anni di pace.