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Città rifugio, per un decentramento del sistema accoglienza

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[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Costas Douzinas pubblicato su openDemocracy]

Il diritto di asilo e la protezione delle persone perseguitate hanno una tradizione antica. Nel corso della storia i templi e le città hanno rappresentato luoghi di protezione. Tale tradizione è iniziata con l’elenco delle sei “città rifugio” del codice sacerdotale e del libro del Deuteronomio del Vecchio Testamento, nonché attraverso i rituali di supplica vigenti nell’Antica Grecia. Le città ebraiche erano luoghi di rifugio per i perseguitati a causa di crimini, solitamente a causa di accuse di omicidio. I sacerdoti interrogavano il supplicante e, se l’atto criminale non veniva considerato intenzionale, la città offriva protezione al supplicante dai parenti della vittima che volevano esercitate l’antica legge del taglione – occhio per occhio.

Una simile istituzione esisteva anche nell’Antica Grecia: chi aveva commesso un crimine, oppure era perseguitato per altre motivazioni, poteva chiedere a-sylon – etimologicamente protezione dal pericolo. La richiesta di asilo veniva effettuata presso un tempio o una città, il supplicante doveva eseguire un rituale attraverso il quale veniva posto sotto la protezione degli dei, come Ikesios, Zeus il protettore dell’ospitalità. Esempi di tali suppliche si possono trovare nelle opere di Omero, mentre l’opera “Le Supplici” di Eschilo descrive sia il rituale che le operazioni politiche di tale istituzione.

Quest’opera racconta la storia delle cinquanta figlie del re Danao che, in fuga a causa della proposta di matrimonio incestuoso con i cinquanta figli di Aegyptos, cercarono asilo nella città di Rodi del re Pelasgo. Inizialmente, il re era stato prudente e aveva esitato, temendo che i barbari avrebbero potuto attaccare la città per rapire le fanciulle. Se non avesse offerto protezione alle fanciulle, però, avrebbe offeso Zeus Ikesios che avrebbe lanciato una maledizione sull’intera città. Così il re portò la questione davanti all’assemblea del popolo, che votò a favore della concessione dell’asilo. La città quindi accettò le Danaidi, le protesse, e di conseguenza Zeus diede la sua benedizione alla città di Argo.

Dopo il consolidamento dello Stato moderno, il diritto di asilo e di protezione dei rifugiati è diventato un privilegio concesso dal sovrano come segno di misericordia. Tuttavia, in realtà, la protezione non rappresentava più esclusivamente un obbligo morale, ma uno strumento di antagonismo ideologico. La famosa Convenzione di Ginevra sull’Asilo Politico del 1951 non è stata altro che una creazione della Guerra Fredda. Il diritto di asilo era concesso solamente ai rifugiati europei che erano scappati dal proprio Paese di origine prima del 1951, ed è stato esteso a tutti i rifugiati solamente nel 1967. Tale Convenzione ha concesso agli Stati dell’Europa occidentale di offrire protezione alle persone perseguitate dai nuovi regimi comunisti, ed è questo il motivo per cui la Convenzione stabilisce che le persone aventi diritto di asilo devono essere scappati dal proprio Paese di origine per un “timore di persecuzione fondato” a causa della propria razza, religione o opinione politica. La Convenzione ha creato un procedimento individuale di valutazione per i richiedenti asilo escludendo dalla propria sfera di competenza coloro che sono scappati per motivazioni al di fuori dell’ambito della Convenzione – come ad esempio la discriminazione per motivi di orientamento sessuale – oppure gli immigrati per ragioni economiche che cercano di migliorare il proprio stile di vita. Perciò, il diritto di asilo è diventato un’istituzione giuridica, ma il campo di applicazione ed estensione sono stati limitati. La Convenzione di Ginevra non è in grado di fronteggiare gli enormi flussi di immigrati che sono diventati una caratteristica costante del nostro mondo.

Una nuova internazionalità

Le città sono da sempre considerate il luogo fisico di asilo e di protezione per le persone perseguitate. Prima del consolidamento dello Stato di sovranità, le città italiane, anseatiche e ottomane – le matrici dell’urbanizzazione europea – hanno offerto asilo alle persone perseguitate. In tempi più recenti, alcuni intellettuali come Jacques Derrida, Pierre Bourdieu, Toni Morrison e Salman Rushdie, nel 1994, hanno fondato una rete contemporanea di “città rifugio”. Il loro obiettivo era quello di proteggere gli intellettuali oppressi. Nel periodo in cui è stata avviata questa iniziativa, gli artisti e gli scrittori erano perseguitati in Algeria dal nuovo regime islamico. Alcune grandi città come Barcellona, Amburgo e Liverpool hanno subito partecipato a tale iniziativa ed è stata creata una rete di città di rifugio e ospitalità per gli intellettuali perseguitati. Anche oggigiorno esiste un’organizzazione internazionale formata da tali città, ma di recente tale organizzazione è diventata inattiva e la sua attenzione rimane incentrata sulle persone che si dedicano all’arte e alla letteratura.

La guerra in Iraq, Afghanistan, e adesso in Siria, hanno dato origine a un grande numero di rifugiati in fuga dalle zone di guerra. Negli ultimi dodici mesi, più di un milione di persone, l’80% delle quali rifugiati provenienti dalla Siria, è transitato in Grecia per raggiungere le nuove Argo nell’Europa del nord. Quindi sarebbe importante un ritorno e un’espansione dell’istituzione delle antiche città rifugio, offrendo protezione alle persone perseguitate del nostro tempo a prescindere dal loro contesto educativo e sociale. Dobbiamo intraprendere iniziative per creare una nuova rete di città rifugio europee, che dovranno ospitare un dato numero di rifugiati in ogni città e dare loro protezione, cibo e assistenza per le loro necessità di base e aiutarli a stabilirsi nella loro nuova patria.

La città rifugio ha una risonanza rilevante e storica. Riporta alla luce le antiche tradizioni e, data la richiesta di protezione nelle città, fa sì che siano evitati i calcoli politici associati alla sovranità dello Stato, che rappresentano una fonte costante di tensione all’interno delle società locali. La città rifugio riconosce che l’insediamento e l’integrazione delle persone straniere avvengono all’interno della rete urbana, dove l’anonimato e la protezione della privacy consentono ai rifugiati di acquisire gradualmente i mezzi necessari per ricominciare a vivere in un Paese straniero che diventerà una seconda patria.

La bomba demografica

Tali iniziative hanno peraltro motivazioni politiche positive. Il continente europeo sta invecchiando, i sistemi pensionistici e di protezione sociale non sono più sostenibili. I dati demografici sono sempre più preoccupanti. In primo luogo, il tasso di fertilità femminile è molto basso – un tasso di nascite di 1,5 per ogni donna europea in età fertile, quando per la riproduzione della popolazione sarebbe necessario un tasso di 2,1. In secondo luogo, l’aspettativa di vita è aumentata notevolmente. E infine, il rapporto tra la popolazione occupata e quella disoccupata è peggiorato. L’Unione Europea prevede che l’Europa abbia bisogno di circa 60 milioni di nuovi immigrati nei prossimi 40 anni per poter riprodurre la propria popolazione attiva. Angela Merkel ha compreso questo aspetto e ha accettato circa 1 milione di immigrati senza rilasciare dichiarazioni altisonanti.

L’Europa ha bisogno di nuovo sangue e di nuove idee. I rifugiati che bussano alle porte dell’Europa sono persone educate, dinamiche – ed è sempre così quando si tratta di persone che affrontano qualsiasi tipo di disagio per raggiungere le proprie Argo. Sentimenti come la repulsione, la xenofobia e il razzismo non indicano solamente malvagità e mancanza di moralità, ma anche ignoranza riguardo alle questioni fondamentali delle esigenze della popolazione.

Per questo motivo, i supplici contemporanei devono essere accolti. Fuggono da luoghi in cui cadono le bombe, dalla morte e dall’oppressione, ai quali hanno contribuito anche le politiche occidentali. Sono pronti a lavorare duro per costruirsi una nuova vita. Le grandi città europee devono diventare rifugi e luoghi di insediamento per queste nuove Danaidi. L’ospitalità non significa solamente un soggiorno temporaneo ma rappresenta anche le politiche di inclusione e integrazione. È questo ciò che richiedono i valori della solidarietà e la realtà di declino demografico.

Per questo motivo, chiediamo ai sindaci e ai consiglieri locali delle città europee di partecipare alle iniziative per accogliere alcuni nuovi supplici dalla Grecia. Facciamo appello perché sia creata una nuova iniziativa riguardo alle “Città di Asilo internazionali”, chiedendo alla popolazione delle grandi città di seguire ciò che hanno fatto i cittadini di Argo. Non si tratta solamente di umanitarismo, filantropia o solidarietà. Dietro qualsiasi tipo di moralità si trova la responsabilità di offrire asilo. I volti di coloro che soffrono si celano dietro l’identità di ognuno di noi.

Da vociglobali


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