Non è il caso di tener conto di quello che ha detto ieri al Consiglio Superiore della Magistratura l’onorevole Legnini, vice presidente come parlamentare in carica del consesso nazionale dei giudici dopo che nei giorni scorsi abbiamo sentito il segretario del partito democratico e nello stesso tempo presidente del Consiglio dei ministri in carica nonché ex sindaco di Firenze Matteo Renzi parlare agli italiani inviando offese di ogni genere e alcune particolarmente pesanti contro quelli che a Potenza stanno cercando di venire a capo dell’associazione a delinquere (è difficile chiamarla diversamente) annidata intorno al compagno Gian Luca Gemelli dell’ex ministra Federica Guidi.
Non c’è bisogno di scomodare i grandi meridionalisti italiani che abbiamo avuto in passato da Antonio Gramsci a Salvemini e alla famiglia dei Rossi Doria e a moltissimi altri e che hanno scritto le ragioni del divario tra Sud e Nord che dopo più di 150 anni non solo non è cessato ma per certi aspetti è persino cresciuto nell’Italia repubblicana. E un simile risultato a chi lo dobbiamo attribuire noi se non alle classi dirigenti che dagli anni dell’unificazione italiana ad oggi hanno calcato la scena a Montecitorio e nelle sale del Senato repubblicano. Tra i tanti libri che affollano le mie librerie come quelle delle nostre biblioteche pubbliche voglio ricordare soltanto il libro di un giovane economista italiano che insegna Storia economica all’Università Autonoma di Barcellona e che si chiama Emanuele Felice. Il giovane studioso italiano che è stato costretto-immaginiamo-ad insegnare in altri paesi dell’Europa perché in Italia non c’era posto per lui ha scritto per le ottime edizioni del Mulino di Bologna un saggio intitolato Perchè il Sud è rimasto indietro (Bologna,2013) che nelle pagine conclusive ha dovuto affermare che “le istituzioni politiche ed economiche del Nord hanno dovuto sempre più assomigliare a quelle del Mezzogiorno. Continuando così nei prossimi decenni il divario si potrebbe forse colmare ma al ribasso,con il Nord che si avvicina al Mezzogiorno. Ma allora si sarà creato un altro divario, ancora più profondo ,tra l’Italia e i paesi avanzati.” Una conclusione molto pessimistica ma che a me non sembra francamente lontana dalla realtà con la quale abbiamo a che fare.
D’altra parte quello che ha detto Piercamillo Davigo nella lectio magistralis che ha tenuto ieri nel master in contrasto e prevenzione della criminalità – che conosce anche chi scrive per avervi insegnato alcuni anni fa – è piuttosto chiaro: “La classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime incomparabilmente più elevato di qualunque delinquente di strada e fa danni più gravi. C’è stato un decadimento qualitativo della classe dirigente politica. Il problema è che la classe politica che c’era allora non ha pensato alla successione.” E alla fine ha aggiunto:”In Italia la vulgata comune è dire che rubano tutti. No, mi fa arrabbiare questa cosa,rubano molti. Non tutti. Altrimenti non avrebbe senso fare i processi.” E aggiunge ancora “Oggi leggo sui giornali che Renzi accusa i magistrati. Ma dove? Noi incoraggiamo i magistrati a fare veloci, che parlino con le sentenze, noi più sentenze ci sono e più siamo felici.” E a proposito della sua esperienza di magistrato ha ricordato: “Oggi inchieste recenti dimostrano che il sistema delle tangenti è proseguito ininterrotto dopo gli anni Novanta.”E “a noi ci dicono che abusiamo della custodia cautelare:sono senza vergogna.” Alla lezione dell’appena eletto nuovo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ha risposto immediatamente un politico, Giovanni Legnini che è da poco vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura per volontà dei due partiti, PD e NCD, che compongono l’attuale governo. ” Le dichiarazioni del presidente Davigo rischiano – ha detto Legnini – di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno bisogno tanto più nella difficile fase che viviamo nella quale si sta tentando di ottenere con il dialogo e il confronto a volte anche critico riforme, personale e mezzi per vincere la battaglia e costituire un’amministrazione della giustizia efficiente e rigorosa,a partire dalla lotta alla corruzione e al malaffare.” Belle parole, senza dubbio ,ma non confortate dal comportamento delle istituzioni in questo periodo che continua ad apparire volto ad ottenere vantaggi privati dei politici molto più che pubblici e tesi ad ottenere risultati positivi per la ripresa economica e civile del Paese.