“Invece di far accomodare i mafiosi in salotto, bisognerebbe dare spazio ai giornalisti che rischiano la vita per portare all’opinione pubblica la verità”. Così il segretario generale della Fnsi Raffaele Lorusso, all’incontro Le elle dell’informazione: Libertà, Lavoro, Legalità cui hanno partecipato tra gli altri, Rosy Bindi, Claudio Fava, Susanna Camusso e alcuni giornalisti minacciati dalla criminalità organizzata come Paolo Borrometi, Michele Albanese e Luciana Esposito. “Non è un caso” continua il segretario “se nelle stesse ore in cui il servizio pubblico decideva di mandare in onda la promozione a un libro di un mafioso, la giunta della Fnsi ha nominato Michele Albanese delegato a tutte le questioni sulla legalità”. Un impegno che per il giornalista calabrese, minacciato di morte dalla ‘ndrangheta, “non può prescindere dall’incontro di tutte le intelligenze e dalla capacità di tutti i colleghi di capire l’attuale momento che attraversa l’informazione. Bisogna costruire percorsi comuni di tutela, di difesa, di rilancio del nostro lavoro. Sui temi delle minacce e delle querele temerarie non è possibile dividersi”. Bisogna lottare uniti, “per arrivare a definire una presenza che rafforzi le tutele al nostro mondo. A partire dalla collaborazione con le associazioni che da anni si impegnano sui temi della legalità come Libera, Ossigeno, Articolo21, le assostampa regionali”. Un pensiero va anche ai giovani precari: “ogni giorno nella mia terra vedo l’impoverirsi delle risorse umane, delle intelligenze più vive che sono i giovani. Questo è l’aspetto più drammatico. A loro vorrei dire: vale la pena di resistere, di creare insieme momenti di resistenza contro chi offusca la nostra terra”.
Impossibile non parlare anche del triste episodio offerto a chi il canone dal conduttore di Porta a Porta: per il vicepresidente della Commissione antimafia Claudio Fava, “il problema non è fare un’intervista al figlio di un mafioso come Totò Riina, ma dipende dalle domande che vengono poste dal giornalista e dalle risposte che si pretende di avere”. È per questo che Bruno Vespa “non è un giornalista”. C’è poi un altro tipo di “non giornalisti” secondo Fava: sono quelli con la schiena dritta, che rischiano la pelle ogni giorno in provincia e in periferia. Sono i free lance che riempiono le pagine dei giornali eppure non hanno alcun tesserino da giornalista e sono pagati 3 euro ad articolo. Il lavoro di inchiesta svolto dalla Commissione antimafia presentato dalla Bindi e da Fava guarda a questa parte sana, impegnata e combattiva del mondo dell’informazione che però in cambio riceve minacce e pressioni psicologiche attraverso le querele temerarie, che non gode di alcuna tutela. È a questo “esercito invisibile di precari” che Fava prega di guardare con molta più attenzione, rivolgendosi prima di tutto proprio ai mezzi di informazione, che di queste problematiche non si occupano come dovrebbero.
Nessuno deve rimanere o sentirsi solo. Per Paolo Borrometi, da più di un anno e mezzo sottoscorta, “bisogna trasformare l’io in noi, far capire all’opinione pubblica che ad essere minacciato è il diritto di tutti ad essere informati”. L’articolo 21 è uno dei pilastri della nostra Costituzione e della democrazia. Per questo motivo secondo la Camusso, che conclude l’incontro, “la grande sfida che abbiamo davanti è ricostruire i diritti. Le tutele sono fondamentali per garantire un’informazione vera. Anche i giornalisti devono ricostruire una rete di solidarietà e riunificare il settore”.
L’impegno di Articolo21 è stato riconosciuto da molti: da Lorenzo Frigerio di Libera informazione, a Raffaele Lorusso a Paolo Borrometi e Michele Albanese. Continueremo come sempre a sostenere e sottoscrivere il lavoro di chi, con tesserino o senza, ha deciso di illuminare le periferie.