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Azerbaijan, scrittore fermato. A Venezia il suo libro presentato senza di lui

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Una sedia vuota per denunciare gli abusi delle autorità azere che hanno impedito ad Akram Aylisli di salire sull’aereo che avrebbe dovuto portarlo a Venezia. Nella città lagunare lo scrittore era stato invitato dagli organizzatori del festival “Incroci di civiltà”, per presentare il suo ultimo romanzo Sogni di pietra, edito dalle Edizioni Guerini. Il libro è stato presentato ugualmente ma in sua assenza, come, appunto, simboleggiava quella sedia vuota.
Aylisli, quasi ottantenne, era stato bloccato al momento di imbarcarsi dall’aeroporto di Baku e trattenuto per un’intera giornata, con l’accusa di aver infastidito gli altri passeggeri. Alla fine è stato liberato ma gli è stato sequestrato il passaporto.
Non è la prima volta che l’anziano scrittore subisce abusi e intimidazioni. Dopo la pubblicazione in Azerbaigian, nel 2013, di Sogni di pietra, Aylisli è stato dichiarato apostata, gli hanno tolto la pensione e lo hanno espulso dal Sindacato degli scrittori, sua moglie e suo figlio hanno perso il lavoro ed è stato promesso un premio in denaro a chi gli avesse tagliato un orecchio. In quel caso, la mobilitazione internazionale ha impedito che la persecuzione proseguisse.

A La Repubblica lo scrittore ha ricostruito il suo fermo. “ Sono arrivato in aeroporto alle quattro di mattina ma ne sono uscito solo alle otto di sera dopo un lunghissimo interrogatorio. Mi hanno accusato di molestare gli altri passeggeri e di compiere atti di teppismo: secondo la polizia avrei dato un pugno sul petto ad una giovane guardia di frontiera, io che ho quasi ottant’anni e soffro di una malattia al cuore. Questo presunto fatto è stato usato come scusa per non farmi prendere l’aereo, ma secondo loro sarebbe successo dopo che era già partito! È una cosa illogica e assurda“.
Sogni di pietra non è un’opera partigiana: racconta dei massacri perpetuati da turchi e azeri contro gli armeni, ma anche come questi ultimi siano stati a loro volta fanatici nazionalisti: “Mi sembra che con questa mia piccola opera – ha scritto in un messaggio letto durante la presentazione a Venezia – io sia riuscito a raggiungere il mio scopo principale: salvare molti armeni dall’odio verso il mio popolo. Ho compreso che in questo conflitto sanguinoso non siamo colpevoli noi né gli armeni; i popoli non si farebbero mai la guerra se la politica non si intromettesse nella loro vita. Ho perduto la tranquillità e il benessere a causa di un piccolo passo per l’avvicinamento di due popoli affini e non ho sogno più intimo di quello di vederli di nuovo assieme”.

In Azerbaijan la repressione del dissenso e gli abusi contro giornalisti, scrittori e attivisti sono storia purtroppo nota. Di recente, in occasione della festa nazionale, le autorità hanno emanato un’amnistia, rimettendo in liberta molti detenuti per reati d’opinione e si è sperato che le campagne di Amnesty e di altre organizzazioni avessero indotto a una maggiore prudenza gli apparati repressivi di Baku. Evidentemente non è così, almeno quando si parla della questione armena.
In questi giorni, il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev è a Washington per un summit sul pericolo nucleare e sono previsti incontri con l’amministrazione USA ma anche negoziati sulla costruzione del nuovo gasdotto di 3500 km che da Baku, dopo aver attraversato la Turchia, dovrebbe arrivare fino in Italia. Ci auguriamo che sul tavolo, com’è stato durante la visita di Obama a Cuba, ci sia anche a questione del rispetto dei diritti umani.


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