In vista della consultazione referendaria che si terrà domenica 17 aprile e che vedrà tutti i cittadini aventi diritto al voto ad esprimersi sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia, anche Niscemi ha preso posizione contro il piano di trivellazioni nei mari italiani
Pur essendo la cittadina nissena violentata da anni dalla presenza del polo chimico di Gela e presa d’assedio dalle quarantasei antenne della Stazione satellitare americana NRTF-8; pur subendo l’ulteriore minaccia di un impianto MUOS, imposto dalla U.S.Navy in combutta col Ministero della Difesa italiano; pur soffrendo i problemi tipici di un piccolo centro la cui economia è basata quasi esclusivamente sull’agricoltura, Niscemi, ha visto in questi giorni la nascita di un Comitato “NoTriv”. Un gruppo di attivisti e di associazioni di varia natura si è riunito e si è costituito, nel tentativo di contribuire a informare e sensibilizzare la cittadinanza sulla necessità di recarsi alle urne domenica 17 e di votare Sì.
Come già era successo per la città ragusana di Vittoria, anche a Niscemi il comitato NoTriv ha dovuto prendere atto del silenzio degli organi di stampa che, solo nelle ultime ore, sembrano essersi accorti dell’imminente scadenza ma, soprattutto, i niscemesi hanno preso atto dell’invito all’astensione da parte dello stesso governo e sono scesi in strada. Con una forte azione di volantinaggio, il comitato NoTriv niscemese invita i cittadini ad una mobilitazione dal basso anche con il passa parola e si fa promotore di diverse iniziative tra le quali anche banchetti informativi.
È importantissimo – sostengono gli attivisti – che il 17 aprile si raggiunga il quorum, così da poter imprimere un cambio di passo nei confronti delle future scelte del governo in campo energetico e non solo. Il mare non si buca.
Le ragioni del “sì” contro le trivellazioni sono riassunte dal comitato niscemese in un volantino che in questi giorni viene distribuito da volenterosi attivisti e ambientalisti che hanno riposto i loro colori politici per far fronte comune contro una “minaccia comune”. Nel volantino del comitato si accenna ai rischi per la fauna marina: “per la scansione dei fondali viene usato l’air gun, ovvero un’arma ad aria compressa per l’analisi del sottosuolo – affermano gli attivisti –, alcuni cetacei e alcune specie di pesce, vengono danneggiati con lesioni e perdita dell’udito a causa dell’air gun.
L’eccessiva vicinanza alla costa (meno di dodici miglia) potrebbe provocare danni all’ecosistema marino e rovinare l’attrazione turistica delle nostre coste, sostengono gli attivisti, secondo uno studio Ispra ripreso da Greenpeace, tra il 2012e il 2014, nei mari che circondano le trivelle oggi in azione sono stati superati i livelli stabiliti dalla legge per la concentrazione di agenti inquinanti. Del resto, considerando il rischio di un incidente non impossibile (ricordiamo la piattaforma Deepwater Horizon usata dalla British Petroleum che nel 2010 sversò petrolio per 106 giorni nel Golfo del Messico o la Piper Alpha che operava nel Mare del Nord e che si incendiò nel 1988 e costò la vita a 167 persone o ancora l’incendio sulla piattaforma della SOCAR, che lo scorso dicembre prese fuoco nel Mar Caspio, l’incendio sulla piattaforma Ixtoc I nel Golfo del Messico nel 1979/1980 e tanti altri incidenti simili) in un mare chiuso come il Mediterraneo, causerebbe un disastro ambientale di proporzioni insostenibili.
I NoTriv niscemesi sostengono, ancora, nel loro volantino che le trivellazioni nei nostri mari non risolverebbero il problema del fabbisogno italiano dal momento che le riserve certe nei mari italiani equivalgono a circa sette settimane di consumi nazionali di petrolio e sei mesi di gas.
Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, infatti, la produzione delle 135 piattaforme italiane nell’ultimo anno ha subito un forte calo, passando dalla produzione di circa 4,8 milioni di tonnellate di gas e 754 mila di greggio del 2014, alla produzione di 4,5 milioni di tonnellate di gas e 750 mila di greggio del 2015.
Sicché il gioco non vale la candela – affermano gli ambientalisti niscemesi – né dal punto di vista dei consumi e della produzione, né dal punto di vista economico, infatti per estrarre petrolio le compagnie devono versare diritti (le royalties) e per trivellare il mare italiano si pagano le royalties più basse al mondo, pari al 7% del valore di quanto si estrae.
Cosa bisogna fare, dunque? Semplicemente uscire dal sistema energetico fossile ed investire nell’efficienza energetica e nelle rinnovabili, come dl resto è stato deciso a Parigi lo scorso 12 dicembre 2015, dai grandi del pianeta. Le energie rinnovabili, in Italia, godono di pochissima considerazione da parte del governo: proprio in questi giorni, il presidente del consiglio Renzi ha assunto posizione ferma a favore del no al piano che riduce l’utilizzo delle piattaforme ai limiti temporali dati dalle concessioni.
In sostanza – concludono i NoTriv niscemesi – devono essere gli italiani a decidere sulle perforazioni del suolo così come del mare, sulla ricerca di idrocarburi e il referendum serve proprio come strumento per cancellare una strategia energetica nazionale che da Monti a Renzi resta l’emblema dell’offesa ai territori.